«La mia Biennale un capolavoro» di Alain Elkann
Il direttore contattato dal ministro della Cultura francese per spostare una parte della rassegna a Parigi Il direttore contattato dal ministro della Cultura francese per spostare una parte della rassegna a Parigi «la mia Biennale, un capolavoro» «E' diventato un laboratorio della cultura» ACHILLE BONITO OLIVA ACHILLE Bonito Oliva è di passaggio a Roma. Ci incontriamo al tavolino di un piccolo caffè di via Giulia. E' appena tornato da Parigi dove ha incontrato il nuovo ministro della Cultura Jacques Tubont che gli ha chiesto di spostare un pezzo della Biennale a Parigi nel '94. Bonito Oliva esordisce dicendo: «A via Giulia bisognerebbe dare un cognome e io vorrei che fosse Bonito Oliva». Ci racconti le tappe miliari della sua carriera. «Alla fine degli Anni 60 da Napoli venni a Roma e aderii al Gruppo 63. Fui indicato a Nanni Balestrini da Roland Barthes. Dalla poesia alla quale mi ero inizialmente dedicato mi spostai verso la critica d'arte. Sentivo una maggiore vitalità nei movimenti dell'arte, forse perché non doveva essere tradotta. Nel corso della mia vita ho curato cento mostre in Italia e all'estero tra cui quella al parcheggio di Villa Borghese nel '73; nell'80 nei Magazzini del Sale a Venezia ho presentato la transavanguardia internazionale tra cui artisti quali Cucchi, Chia, Clemente, Paladino, De Maria; nell'82 la mostra nelle Mura Aureliane, nel '90 una mostra sul Gruppo Fluxus con Yoko Ono negli Antichi Granai della Serenissima. Le mie mostre sono un corto circuito tra arte moderna e architettura passata». Cosa accade alla Biennale? «Ho potuto realizzare un progetto complesso e interdisciplinare implicando l'intera mappa espositiva della città e realizzando per la prima volta il nuovo modello espositivo dell'arte zapping. Struttura a mosaico che permette nella vasta esposizione veneziana di passare da una mostra all'altra come da un canale televisivo all'altro». Questo progetto che cosa afferma? «Non la pura spettacolarità espositiva quanto piuttosto la ricerca di nuove frontiere dell'internazionalità che interrompa la vecchia diatriba Europa-America. Invece io ho cercato nuove frontiere». Perché Robert Hugues, critico di «Time», l'ha attaccata? «Il "Time" mi ha fatto l'onore di una citazione in copertina col titolo bellicoso "Carneficina alla Biennale" che è stato un curioso pendant con i missili sull'Iraq. Mentre Clinton e Saddam Hussein non sono mai stati inseriti nella stessa classifica, il sottoscritto e Robert Hugues sono stati, come dice il giornale "Art News", inseriti nella classifica dei 50 personaggi più potenti del mondo nell'arte internazionale. Io quale protagonista attivo e produttivo di un'ipotesi teorica ed espositiva ed Hugues come protagonista distruttivo e bombardiere ad ogni costo, comunque incapace di distruggere qualsiasi carriera». E' amareggiato che per motivi di mancata sicurezza abbiano chiuso alcuni padiglioni della Biennale? «I padiglioni, come l'Onu, sono di giurisdizione nazionale e spetta ad ogni Paese la gestione interna, anche dell'agibilità dei propri padiglioni. La Biennale aveva avvertito che esisteva questo problema. Comunque come i Paesi si sono dimo- strati solidali alle mie proposte di rendere transnazionale i propri spazi, così la Biennale sta operando per ovviare alla chiusura di questi padiglioni. Questa Biennale punta sui valori della coesistenza e della solidarietà». La stampa europea ha parlato bene della sua Biennale. «Penso che l'Europa rispetta la cultura della complessità, segno che contraddistingue questa Biennale, mentre l'America vive ancora la chiusura minimalista di una cultura della semplificazione». Quali critici stima in Italia? «Tutti i collaboratori che ho chiamato a vario titolo alla Biennale. Ma in testa, seppure sia morto, c'è Giulio Carlo Argan che resta una grande testa di serie della critica mondiale. Per ricordarlo ho istituito un premio per la critica d'arte». E Federico Zeri? «Credo che sia il più grande "occhio" vivente tra gli storici dell'arte internazionale, capace come Gombrich di abbattere le frontiere fra arti maggiori e arti minori e di dimostrare che la creazione abita in ogni luogo». E tra gli artisti italiani? «Io credo che con la sezione 'Opere italiane' ho riparato a molti torti dando spazio a artisti mai invitati prima alla Biennale: pensi a Carol Rama». E poi? «Gli artisti come Cucchi, De Dominicis, Kunellis, Clemente, Paladino, Fabro, Mondino, Piacentino, Gilardi, Schifano, Pascali...». Dopo la Biennale come si sente? «Come un architetto della critica. Come chi ha prodotto oggetto e costruzione di un'ipotesi critica capace di diventare un edificio "laboratorio della cultura" che alcuni americani vogliono bombardare e gli europei conservare a futura memoria». Alain Elkann «Sono tra i cinquanta personaggi più potenti dell'arte internazionale» critico d'arte Achille Bonito Oliva, direttore della Biennale di Venezia
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