Con Clinton turista all'ultimo Muro

Passeggiata sotto l'occhio delle sentinelle sulla linea che divide le due Coree Passeggiata sotto l'occhio delle sentinelle sulla linea che divide le due Coree Con Clinton, turista oll'ultimo Muro «Spero che questa frontiera non duri a lungo sono contento che i nostri soldati siano qui» SUL CONFINE DELLA PAURA PANMUNJOM. In una giornata carica di nubi oscure e di pioggia, Bill Clinton ha visitato quella che si usa definire l'ultima frontiera della guerra fredda: i 248 km della «Zona demilitarizzata», la linea dell'armistizio che da quaranta anni divide la Penisola Coreana. Quando ha messo piede sul «bridge of no return» (il ponte senza ritorno, così chiamato perché alla fine della guerra del 1950-53 qui venivano portati i prigionieri a scegliere se recarsi nel Nord comunista oppure nel Sud filo-americano), i funzionari della Casa Bianca hanno fatto osservare ai giornalisti che nessun Presidente americano «era stato tanto vicino ai soldati nord-coreani» come Bill Clinton. In effetti, in quel punto, la distanza dalla linea di demarcazione è di appena dieci metri. Ma un gesto del genere, che avrebbe avuto un grande significato fino a tre o quattro anni fa, ieri appariva svuotato di ogni carica simbolica. L'ultimo Presidente americano a visitare la «zona smilitarizzata» era stato Ronald Reagan nel 1984. Ma allora egli poteva ancora sentirsi, ed essere considerato, come l'imperatore in viaggio d'ispezione lungo una remota provincia, ai bordi dell'immensa terra dei barbari che si estendeva lungo l'intero Continente asiatico fino alle rive dell'Oceano Pacifico. Oggi il regno barbarico, o «l'impero del male» come Reagan l'aveva definito, non esiste più. Ed anche questo confine coreano ha perduto la sua terribilità. Certo, lo scenario non è cambiato. Tutto è rimasto come era: il filo spinato, i campi minati, le trincee con i sacchetti di sabbia, la baracca di Panmunjom dove la linea dell'armistizio passa attraverso il tavolo ai lati del quale si riuniscono ogni giorno gli ufficiali delle due parti incaricati di vigilare sulla tregua. Ma è un congegno fine a se stesso. Non simbolizza più un impero. Rappresenta soltanto un solitario e lu¬ natico satrapo che è sopravvissuto alla caduta dei suoi antichi protettori. Questa è ormai la Disneyworld della guerra fredda. U confine sul quale si è affacciato Clinton viene visitato ogni anno da 30 mila turisti. Al termine del giro con guide militari che non fanno altro per tutto il giorno, il visitatore può entrare in uno «shop» dove sono in vendita piccoli souvenirs. Diciamo che lo spettacolo è triste, ma privo di tensioni. Clinton ha visitato la «zona smilitarizzata» dopo un jogging mattutino con il presidente sudcoreano Kim Young-San. Ai giornalisti che l'hanno preceduto o accompagnato, le autorità militari hanno fatto sottoscrivere una dichiarazione nel quale il comando delle Nazioni Unite, gli Usa e la Repubblica sudcoreana si sottraggono ad ogni responsabilità civile in caso di «atti ostili del nemico». Un giornalista ha chiesto a Clinton: «Quanti anni resisterà questo confine?». Il Presidente ha risposto: «Non lo so. Spero che non resista a lungo e sono con¬ tento che i nostri soldati siano qui. La guerra fredda è finita. Ma la nostra missione nel mondo non è finita». Il giornalista ha incalzato: «Ma i coreani dall'altra parte sanno che lei è qui?». Risposta: «Immagino che lo sappiano. Comunque stanno osservando le nostre mosse. Spero che un giorno potranno pacificamente passeggiare in libertà e raggiungerci da questa parte». Alla domanda se la sua visita in Corea possa contribuire a far accettare al governo di Pyon- gyang le ispezioni nucleari dell'Alea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) che finora ha rifiutato, Clinton ha osservato: «Sono stati piuttosto calmi in risposta al mio viaggio. E questo è già qualcosa di incoraggiante. Finora il loro atteggiamento è privo di senso. Quando uno esamina la natura degli impegni di sicurezza che il nostro Paese ha stipulato con la Corea del Sud, con il Giappone e con tutta la regione, è semplicemente insensato per i nord-coreani tentare di sviluppare armi nucleari. Perché se le usassero, sarebbe la fine del loro Paese. Tutto quello che devono fare è studiarsi il nostro sistema di sicurezza». Il Presidente si è mostrato molto cordiale con i soldati americani. Ed è stato ricambiato con un'accoglienza assai più affettuosa di quella che due mesi fa gli riservarono i marinai della portaerei «Teddy Roosevelt». Alla fine della visita, prima di salire sull'aereo che lo avrebbe portato ad Honolulu, ha arringato un migliaio di militari in un hangar di Camp Casey. Ha ribadito che il contingente dei 37 mila soldati americani in Corea non verrà decurtato e che il segnale vale per tutta l'Asia: nonostante le riduzioni di bilancio, l'apparato difensivo americano in questa regione resterà immutato perché l'America non intende rinnegare le sue responsabilità e la sua leadership nel Pacifico. [g. s.] A sinistra: Clinton sul «ponte del non ritorno» e mentre suona il sax nella base Usa [foto reuterj

Luoghi citati: America, Asia, Camp Casey, Corea, Corea Del Sud, Giappone, Honolulu, Usa