«Non sono una santa» Muore la canzonetta dc
«Non sono una santa» Muore la canzonetta de IL PALAZZO «Non sono una santa» Muore la canzonetta de ADAELLI incastra Andreotti, il marchese Germi nei guai, Aragozzini in galera: dunque, è anche la fine della canzonetta democristiana. In totale, chiassosa dissonanza, una specie di colonna sonora accompagna gli ultimi giorni di piazza del Gesù. La compilation della nostalgia. Ogni cantante con la sua maniglia. Mino Reitano lo «portava» Gava; Flavia Fortunato era di Mastella (e pure un po' di Misasi); Drupi passava per forlaniano; Casini sponsorizzava Mengoli; Pupo stava con «Azione popolare». Quasi un sogno del genere acustico, incubatico, da indigestione scudocrociata, con la partecipazione dell'indimenticabile democristiano sanremese Leo Pippione. Ah, l'Ariston... All'ultimo festival cantò pure la figlia di Publio Fiori. Al penultimo l'onorevole compositore Alessi piantò una grana tremenda contro la «discocrazia», ma essendo un povero «peone» non ottenne soddisfazione. A suo tempo - i giorni dell'onnipotenza - il povero Bubbico riuscì a piazzare addirittura un frate. Si chiamava fra Giuseppe Cionfoli. E pare ancora di rivederlo sul palco con la sua chitarretta e una camicetta un po' triste, tardo ye ye, però a modo. Cantava una canzone che pareva d'amore, il religioso. Dopo di lui, toccava a un duo di napoletani un po' sguaiati. E la questione era: Gava (ancora), Scotti o Pomicino? Grippo o Viscardi? Lobianco o Mensorio? Più di tanti generici e scontati avvisi di garanzia, il coinvolgimento di un patron «storico» come Radaelli nel caso Pecorelli e l'arresto dopo neanche un mese di un rampante demitiano Anni Ottanta come «Ara» per stecche festivaliere mettono lì, di traverso, una terribile traversina, una cesura giudiziaria tra il «prima» e il «poi» della de nella musica leggera. E se non bastassero le sbarre e i verbali dei giudici, a dare il senso del deragliamento, c'è pure la morte del vecchio consiglio d'amministrazione I Rai, così politicamente comI prensivo. Sarà davvero più difficile, a questo punto, garantire la sopravvivenza del variegato messaggio canoro democristiano, dal «mammacuore-amore» di Christian al post-trasgressivo misticheggiante di Renato Zero. Ancora più arduo se si considera che chi nel 1975 affidò la creazione di un inno fanfaniano - «La certezza» - ai «Nuovi Angeli» e appena tre anni fa precipitò certi orridi jingles nella campagna elettorale («Servizi/ servizievoli/ per servire la gente/ dùm dùm/ perché i servizi servono/ sennò servono a niente/dùm dùm dùm...»), insomma perfino Bartolo Ciccardini se n'è andato via con Segni. Buongiorno Italia, buongiorno Maria. E buonanotte de. Senza scomodare l'apparente interclassismo dei «Ricchi e poveri», il meccanismo proporzionalistico,' con tanto di brogli e corruzione che governava Sanremo, e la programmatica indeterminatezza di fronte al peccato - «Sono una donna, non sono una santa» - degli anni d'oro, adesso l'ex partitone bianco rischia di pagare salate anche le adesioni ideologiche, alte, profonde. De Mita che lardellò un suo lunghissimo rapporto congressuale con citazione di Baglioni (sui vecchi). Giampaolo Cresci che offrì la propria firma per un'antica autobiografia di Al Bano e Romina. Andreotti che divenuto presidente per la sesta volta volle confrontarsi con Celentano. Salta, quest'anno, pure la «Festa dell'Amicizia». E' un suono sordo e stonato, ormai, la canzonetta de. I cantanti della Lega li organizza Giovanna, quella con i dentoni staccati. Filippo Ceccarell elli |
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