Spoleto un'Oleanna falsa e sgradevole di Osvaldo Guerrieri

Seduzione senza sesso nella commedia di Mamet messa in scena da Barbareschi Seduzione senza sesso nella commedia di Mamet messa in scena da Barbareschi Spoleto, un'Oleanna falsa e sgradevole SPOLETO DAL NOSTRO INVIATO Com'è possibile non discutere, non irritarsi, non sentirsi al centro di una provocazione premeditata dopo avere assistito a «Oleanna» di David Mamet? Il fatto che questa fulminea commedia sia stata considerata dappertutto friabile e labile come sabbia mobile, dimostra che Mamet, mai come ora, ha fallito così platealmente lo scopo, oppure che, mai come ora, lo ha raggiunto con diabolica precisione. Al Caio Melisso di Spoleto, dove lo spettacolo è andato in scena con la regia e l'interpretazione di Luca Barbareschi; ma anche a Boston, a New York, a Londra. E in effetti «Oleanna» non ha nulla che bendisponga lo spettatore. Non è una «pièce bien faite», il dialogo è così smozzicato, così frantumato, da arrivare con fatica al disegno di una frase compiuta. E poi ha quel conflitto tra professore e allieva che, nel suo sviluppo persecutorio, richiama tante tragedie (vere) americane: la caccia alle streghe, il maccartismo, il razzismo che avvelenava le università con sospetti e conflitti. Anche adesso siamo in una università. Piccola, forse simbolica. Ma adesso, a Oleanna, la questione non è più il comunismo o il razzismo. La questione è il sesso. Un piccolo professore carrierista e vanesio può usare il proprio potere per sedurre un'allieva. O almeno così potrebbe sembrare. In scena non vediamo alcun tentativo di seduzione. Vediamo il professoruccio che umilia la discepola, dice che la sua tesina fa schifo e tuttavia nulla è perduto. La ragazza può ugualmente passare il corso, basta che lo vada a trovare nel suo ufficio, che parli con lui, che non si preoccupi troppo della materia: «Mi piace stare con te». E l'allieva annota tutto: termini scientifici impenetrabili e situazioni. Sul suo taccuino trascrive le incredibiU sortite del professore circa la stupidità dell'istruzione superiore, riporta il momento in cui, forse per alleggerire la tensione, quel Socrate da due soldi, ossessionato dalla carriera e da un appartamento che la moglie forse cretina sta comprando, l'avvolge in un abbraccio confidenziale. Tutto entra pari pari in un dossier che la beghina invia al Consiglio di Facoltà; si trasforma in una denuncia penale che il collettivo cui la ragazza appartiene ha presentato all'autorità. E non basta. Si arriva al ricatto. La discepola è disposta a stracciare il dossier se il professore toglie dai libri di testo il proprio manuale. Ma si dà il caso -che lui non accetti; e succede che, nel momento in cui la tensione torna al calor bianco, una telefonata lo informi di essere stato licenziato. A quel punto, che senso ha il «fair play»? La questione si risolve a pugni e calci. Direte che tutto ciò è di una grossolanità disarmante. Direte che riproporre il '68 dei collettivi e dell'autoritarismo repressivo è per lo meno imprudente. Ma c'è qualcosa che rende la commedia di Mamet meno semplicistica e rozza di quanto possa apparire, ed è il ritratto dei due personaggi. Chi di loro è colpevole? Il professore che ha cercato con l'allieva un rapporto cameratesco? O la ragazza che ha ecceduto in strategia persecutoria? Ma se lui è davvero una vittima, se lui è soltanto un gracile pavone carrierista, perché la reazione finale? Vuoi vedere che la beghina ha ragione? E' nel massacro cieco la qualità di «Oleanna», è nel dirci che corriamo tutti con la nostra epoca, che tutti siamo rabbiosi e bigotti. In questo senso Mamet ha visto giusto. E se costringe il pubblico a discutere fino a snervarsi, vuol dire che ha saputo leggere tra i fondi amari della civiltà. Difficile, con una simile materia, con queste parole che franano e si disperdono, non cadere nel vittimismo o nel sessismo. Per fortuna Luca Barbareschi ha usa- to tutta la sua sagacia di consumato mametiano. Lavorando sulla traduzione di Masolino d'Amico, ha montato uno spettacolo certamente sgradevole, ma dominato da una dialettica interna che butta all'aria ogni possibile preconcetto. Su uno sfondo di cielo magrittiano con cornice vuota, tra scrivania e divano (scena di Paolo Polli) ha interpretato con un'eccellente Lucrezia Lante della Rovere il dramma delle nostre mutevoli intolleranze. Lui, così al di sopra della realtà; lei, così lamentosa e poi così spietata, ci hanno fatto sentire così fragili, così spaventati. Osvaldo Guerrieri L'attore Luca Barbareschi e Lucrezia Lante della Rovere In una scena di «Oleanna»

Luoghi citati: Boston, Londra, New York, Spoleto