«Basta rinvìi devono giudicarmi» di Vincenzo Tessandori
I VELENI Slittato a ottobre l'appello, si sfoga il magistrato accusato di essere il corvo «Basta rinvìi, devono giudicarmi» Di Pisa: per il maxiprocesso hanno fatto prima I VELENI Di PALIRAAO Lm IMPUTATO Di Pisa Al" berto, di professione magistrato, è ancora in attesa di giudizio. Secondo giudizio e potrebbe essere quello definitivo. L'appello era stato fissato davanti alla corte di Caltanissetta per i giorni scorsi ma è stato rinviato a ottobre per rendere possibili approfondimenti. Di Pisa, sospeso e con lo stipendio decurtato, commenta: «Questo non è un processo normale, diciamo che del fatto processuale ha ben poco. Il caso Tortora è acqua fresca, bene o male per lui dopo due anni avevano fatto il processo di appello, e aveva avuto il problema risolto». Lo accusano di calunnia, la sentenza di primo grado dice che è lui «il corvo», quello che ha sparso altro veleno sui miasmi del palazzo di giustizia di Palermo e spedito le lettere anonime contro il modo non corretto di gestire i pentiti che avrebbe seguito Giovanni Falcone. «E' incredibile che un processo per calunnia che in un'aula di tribunale si fa nel giro di una o due ore, qui sia ancora a un primo grado di giudizio, con un di- battimento che si è fatto durare un anno e sei mesi: scandaloso! Il ministro di Grazia e Giustizia avrebbe dovuto interessarsi di queste cose perché per un processetto di calunnia si è impiegato lo stesso tempo nel quale, a Palermo, abbiamo fatto un maxiprocesso con 470 imputati, 800 imputazioni, tra cui l'omicidio Dalla Chiesa e altri omicidi eccellenti». Processetto, forse, ma complesso. Non soltanto c'è il capito- lo delle lettere anonime, ma ce n'è un secondo, assai imbrogliato, che riguarda un'impronta digitale: secondo l'accusa una sorta di «firma», rilevata su uno di quegli anonimi dagli uomini dei servizi segreti. «Molti non sanno che in realtà questa impronta non c'è. Occorre guardare le carte. I servizi segreti hanno gestito tutta questa cosa nella fase processuale, quindi senza nessun controllo, senza nessuna garanzia. Hanno portato al giudice una foto isolata di un'impronta che è certamente mia e che dicono di aver fotografato su quella lettera. Ma su quel foglio l'impronta nessuno l'ha vista». Allora? ((Allora è facilissimo "costruire" un'impronta artificialmente. Ma i giudici si fidano di quello che dicono i servizi, e sappiamo chi sono, i servizi, lo vediamo ogni giorno». Si sollevò un tornado attorno a quell'impronta che coinvolse anche il professor Aurelio Ghio, torinese, consulente di parte: accusato di frode processuale e falso ideologico, subì un processo che, dopo quattro mesi e 12 udienze, si concluse con un'assoluzione con formula ampia. Quando scoppiò «l'affaire del corvo» Di Pisa aveva in mano alcune di quelle inchieste che vengono di solito definite scottanti. Gliele aveva affidate Pietro Giammanco, allora procuratore di Palermo. E malgrado il giudizio di primo grado e un decreto di trasferimento contro il quale aveva fatto ricorso, lui andava avanti e i risultati, assicura, c'erano. Quali? «Quali? Questi: sa¬ rebbe potuta iniziare una vera e propria Tangentopoli siciliana. Avremmo preceduto anche Milano, se mi avessero consentito di continuare. Avevo già arrestato per tangenti due funzionari della Corte dei conti, un dirigente dell'assessorato alla Sanità, arrestai il famoso cardiochirurgo Azzolina e a quel punto il ministro Martelli si ricordò che c'era un decreto di trasferimento fermo da due anni nei cassetti del ministero e lo mise in esecuzione. Quindi, trasferimento a Messina. Ma non contento Martelli chiese pure una sospensione dalle funzioni». E ora? «Ora apprendo che in procura vengono riprese da Caselli tutte le inchieste che avevo nell"89 quando scoppiò il caso: inchieste poi archiviate, quando mi furono tolte. Insomma, riemergono tutte quelle cose che io non hò potuto portare avanti: erano appalti di Orlando, inchieste sull'omicidio dell'ex-sindaco Insalaco, su una potentissima loggia massonica di Palermo che avevo scoperto io, indagine poi archiviata senza istruttoria. Era la loggia di via Roma dove c'erano mafiosi, magistrati, una loggia molto importante attorno alla quale, secondo me, ruotano tutti i fatti più gravi capitati in Sicilia». E com'è andata a finire? «Che in quel caso addirittura vennero restituiti gli originali degli elenchi che avevo fatto sequestrare senza nemmeno trattenere agli atti una copia, per cui oggi ufficialmente se noi prendiamo il fascicolo non sappiamo chi siano gli iscritti». Sì, con l'arrivo del procuratore piemontese la macchina della giustizia sembra aver ripreso slancio. Di queste indagini, lei, Di Pisa, ha parlato con Giancarlo Caselli? «Devo dire che il dottor Caselli è stato uno dei miei più fieri oppositori al Consiglio superiore della magistratura, nell"89». Perché? «Mah! So che è una persona corretta, probabilmente allora era informato male. Mi auguro che abbia cambiato idea anche perché ormai penso abbia avuto modo di rileggere le inchieste che avevo iniziato». Vincenzo Tessandori Alberto Di Pisa. Sopra, il giudice Giancarlo Caselli
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