Quando il manicomio uccide; i Savoia mecenati o analfabeti? di Luigi Rossi

Cacciatori sulle «orme» di Saddam LETTERE AL GIORNALE Quando il manicomio uccide; i Savoia mecenati o analfabeti? Una vittima di Collegno La nostra «malasanità» non cessa di stupire ogni giorno di più: un mio caro parente, giovane, purtroppo «schizofrenico» e senza genitori, fu un giorno letteralmente «sbattuto fuori» dall'ospedale psichiatrico di Collegno. Protestammo, ma inutilmente: l'ospedale doveva essere definitivamente chiuso (erano quindici anni fa!), il giovane era solo ammalato «di manicomio», così mi dissero, sarebbe guarito stando fuori in mezzo alla gente. Purtroppo «guarì» poi solo quando morì sotto un treno. Prima però vedendolo randagio per la città e schivato da tutti, chiedemmo che fosse riaccolto in ospedale psichiatrico. Ci dissero che l'ospedale era ormai chiuso e che tutto si faceva ormai sul «territorio» (magica parola!). Oggi si scopre che ancor in ospedale a Collegno ci sono più di sei primari che vogliono continuare a stare lì: per curare chi se non hanno nemmeno voluto accogliere il nostro congiunto (e altri casi simili)? Noi non chiedevamo che fosse legato, innaffiato sotto docce fredde ecc., umanamente chiedevamo soltanto che egli fosse umanamente protetto. Invece i «professori» hanno deciso che a ucciderlo fosse il «territorio». Non sarebbe ora che anche i medici, per la loro parte, cominciassero a render conto ai cittadini del nostro disastro sanitario? Filippo Ferro Ai cavalli non piace il Palio Vorrei replicare all'articolo di Oliviero Toscani sul Palio di Siena. Sono uno dei «cuori teneri che hanno bisogno di sentirsi utili» che lei cita nella sua discutibile lettera firmata «un cavallo» pubblicata il 6 luglio da La Stampa. Devo rassicurarla: non abbiamo bisogno di consolazione, semplicemente in certe si- tuazioni non stiamo a guardare (magari compiaciuti). «Raramente fanno sentire la loro voce per le ingiustizie inumane che ci riserva la nostra epoca» leggo. Non è vero. Personalmente difendo gli animali ma non mi tiro indietro in altre situazioni, per esempio aiuto una comunità di bambini orfani. Ci sono tante altre cose, è vero, la guerra, le malattie, gli abusi sessuali, la terza età... ma per fortuna ci sono tanti «cuori teneri» che si dividono un po' i compiti. Secondo lei il cavallo dice: «Sono orgoglioso di morire per il Palio. E, tutto sommato, meglio morire lì che al mattatoio». Davvero non ci sono alternative? Lei crede che i cavalli siano sulla Terra perché noi possiamo farli soffrire in qualche modo? E' questa secondo lei «l'amicizia che dura da secoli». Se fossi un cavallo non ci terrei tanto a avere certi amici. E un cavallo non può pensare «in piazza del Campo siamo complici di chi ci cavalca per raggiungere la vittoria» perché a un cavallo non interessa per nulla il Palio che è costretto a correre prigioniero di una città esaltata in un'euforia collettiva. I cavalli si schiantano nelle curve, si spezzano le gambe, si calpestano l'un l'altro con una media di circa due animali a edizione. Ma non solo, sembra che la droga scorra a fiumi nelle vene dei malcapitati, mentre Aceto - il fantino che ha vinto 14 volte il Palio - ammette candidamente di avere utilizzato la frusta elettrica per spronare il cavallo perché «non voleva partire con la frusta normale» concludendo che «il cavallo è stupido e ne ho le prove. Con le buone maniere ho ottenuto sempre poco dai cavalli, invece con la violenza è più facile ottenere quello che si vuole da un cavallo. Come con le donne». Sono sicuro, Toscani, che lei e Aceto potreste diventare grandi amici. Enzo Dal Verme, Milano Animai Amnesty Prìncipi, re e la cultura Di recente lo storico inglese Denis Mack Smith ha definito i Savoia «da sempre un casato analfabeta». E due che in un convegno sul tema «Piemonte e letteratura», tenuto alcuno anni fa a San Salvatore Monferrato (Ales¬ sandria), si parlò di poeti e di letterati, di architetti e di musicisti alla Corte dei Savoia, presso cui fiorì il mecenatismo in uno con lo spirito di libertà. Mi vengono in mente Torquato Tasso e Giambattista Marino. Il poeta di Sorrento invocò la protezione di Emanuele Filiberto di Savoia (sposo della colta e raffinata Margherita di Valois), come «al primo ed al più valoroso ed al più glorioso Principe d'Italia», da lui premurosamente ospitato; dal canto suo, il poeta napoletano sciolse un inno in lode di Carlo Emanuele I che, «fabbricando di Marte alteri canti, e tessendo d'amor leggiadre rime», alternava la passione per le lettere con le gravi cure dello Stato. Filippo Juvarra, «il re degli architetti e l'architetto dei re», regnando Vittorio Amedeo II (il sovrano che fece erigere dal suo architetto di Corte la Basilica di Superga) e Carlo Emanuele II, per cui Torino acquistava la nobile armonia architettonica così da tramandarne il topolino di «reale». Giuseppe Osorio, anch'egli siciliano come Juvarra la cui fama di sonno diplomatico corse per le Cancellerie d'Europa, il più valido collaboratore di Carlo Emanuele III, soprannominato il «Grande». Altro che analfabeti, quei Savoia! Quanto, poi, a Umberto II, l'ultimo Re d'Italia (nutrito di studi storici e fisiologici, laureato in Giurisprudenza), non era né poteva essere «assolutamente incolto», come Mack Smith, asserisce assurdamente. Ma voglio ricordare il giudizio che l'autorevole statista inglese Winston Churchill diede su Umberto di Savoia: «La sua spiccata e interessante personalità, la sicura comprensione di tutta la situazione, sia militare sia politica, davano una sensazione piacevolmente confortante e suscitavano una fiducia maggiore di quella ispirata dai colloqui con i vari uomini politici». Angelo Giumento, Palermo La nuova de il trucco e l'anima Dopo l'annuncio dato dal segretario della de, on. Martinazzoli, di voler cambiare il nome al partito, ribattezzandolo «Centro Popolare», desidero in qualità di militante esprimere, oltre che un plauso per la coraggiosa iniziativa intrapresa (indubbiamente sofferta), la preoccupazione che tale decisione possa tradursi in una semplice operazione di maquillage. Dico questo perché è indubbio quanto attuali siano ancora le idee, i valori e i principi di fondo che hanno ispirato l'azione poli¬ tica di don Sturzo e di De Gasperi. Partendo da questa considerazione, condivisa da tantissime persone, è lecito chiedersi se sia più importante un cambiamento del nome iniziale, oppure un radicale ricambio delle persone al proprio interno. Sperare di riconquistare l'elettorato tentando di rifare il trucco alla de, cambiando magari l'insegna, lasciando però inalterato sia il sistema di gestione fin qui usato, sia l'attuale nomenclatura all'interno dei vari organi del partito, è pura utopia. Ha ragione il prof. Monticone quando afferma, per esempio, che la nuova legge elettorale in discussione al Parlamento non porterà di per sé a una modificazione etico-politica della situazione perché solo sul piano di precisi comportamenti, incentrati sull'onestà, sulla coerenza, sulla trasparenza, sulla credibilità delle persone, sarà possibile recuperare il consenso degli elettori, dei cittadini. Ma per ottenere questo occorrono anche alcune regole basilari: a) Incompatibilità tra incarichi amministrativi e incarichi di partito; b) Limite ai mandati; c) No al cumulo di incarichi. Bruno Temi], Tolmezzo «Mayerling» menagramo Menagramo sì il Mayerling andato in scena al Regio, ma non al punto di fare tre morti come risulta dall'occhiello del mio articolo sulla Stampa di ieri. In realtà, a parte la scomparsa del coreografo MacMillan, io mi riferivo a infortuni di due protagonisti designati per il ruolo di Rodolfo: Irek Mukhamedov e Manuel Carreno, impediti sì di ballare, ma solo provvisoriamente. La notizia del loro decesso, come diceva l'umorista, sembra leggermente esagerata. Luigi Rossi, Milano