Bill il profeta dei senza lavoro di Gaetano Scardocchia

Il Vertice si è chiuso con la parola d'ordine: primo obiettivo battere la disoccupazione iliti ANALISI Bill ilprofeta dei senza lavoro BTOKYO ILL Clinton ha osservato che la dichiarazione finale del G-7 «non sembra un documento di governo», nel senso che non è astruso, che parla il linguaggio della gente comune. E' vero. Il comunicato sembra scritto personalmente dal Presidente americano, che ha imposto agli altri Capi di governo il tema vincente della sua campagna elettorale: «new jobs», nuovi posti di lavoro. Accanto ai concetti in qualche modo previsti e scontati (che l'Europa deve abbassare i tassi di interesse, che il Giappone deve ridurre i saldi spropositatamente attivi della sua bilancia commerciale), troviamo nel documento una ferma denuncia della disoccupazione. «Più di 23 milioni di persone sono prive di lavoro nei nostri Paesi - proclamano i sette leader - e questo è inaccettabile. Una gran parte dell'aumento recente della disoccupazione può essere attribuito al rallentamento economico in corso, ma una parte significativa è di natura strutturale». Non è solo il linguaggio che sorprende (allarmato e sdegnato, in puro stile clintoniano), quanto il giudizio che attribuisce il livello della disoccupazione anche a cause strutturali, indipen• denti cioè dall'attuale fase depressiva del ciclo economico. In altre parole, c'è una disoccupazione che è destinata a restare anche quando l'economia migliorerà. La crescita economica auspicata dal gruppo dei 7 non basta di per sé a creare nuovi posti di lavoro. Bisogna dar atto al Presidente americano - senza dubbio il protagonista ed il trionfatore di questo «vertice» - di aver imposto ai suoi colleghi europei e giapponesi un dibattito scomodo, che culminerà in autunno in un convegno straordinario del G-7, a livello di ministri e di esperti, sul tema specifico della disoccupazione strutturale e dei rimedi per combatterla. Conviene osservare che in Francia, negli ultimi mesi, si è consolidata una dottrina economica che attribuisce la persistenza della disoccupazione all'eccessiva liberaliz] zazione dei commerci. La liI berta degli scambi non avrebbe condotto ad una divisione ottimale del lavoro, con benefici per tutti i Paesi, - come sostiene la scuola classica - ma avrebbe favorito sopratutto i Paesi di nuova industrializzazione dell'Asia e dell'America Latina - la Cina, la Thailandia, la Malaysia, il Cile - che grazie ai bassi costi ed alla scarsa tutela sociale della manodopera si sarebbero arricchiti a spese del resto del pianeta. Alla tentazione protezionistica, che è la logica conseguenza di una simile analisi, ha ceduto il primo ministro Edouard Balladur, che era vistosamente assente al «summit» di Tokyo, e ad essa non ha resistito neppure il presidente Mitterrand, che aveva rilasciato ambigue dichiarazioni alla vigilia della partenza per Tokyo. Ma la scuola francese è rimasta isolata e sconfitta. Il documento finale del G-7 afferma che la crescita mondiale favorisce la libertà dei commerci ed a sua volta se ne alimenta. I sette" (e dunque anche la Francia) si dicono decisi a lottare contro il protezionismo «in tutte le sue forme», convinti che crescita e libero scambio contribuiranno sinergicamente a far diminuire la disoccupazione. Non tutta, però. Resta la disoccupazione strutturale. Quali sono le sue cause? Clinton, alla domanda se il fenomeno sia da addebitare ai sindacati, ha risposto: «Non necessariamente. La Germania, prima dell'unificazione, aveva un sindacato forte ed una costosa legislazione sociale: eppure il tasso di disoccupazione era il più basso d'Europa». Il documento del G-7 indica alcune riforme necessarie (maggiore efficacia dei mercati del lavoro, miglioramento dell'educazione e della formazione professionale, ed altre misure in parte già menzionate nei documenti del passato), ma impegna i sette governi a studiare tutte le possibili soluzioni innovative perché si tratta di «un problema cruciale che mina la solidità delle nostre società». Clinton si propone a sorpresa come un leader mondiale di tipo nuovo: un leader socio-economico più che politico-militare. Gaetano Scardocchia hiaj

Persone citate: Clinton, Edouard Balladur, Mitterrand