Sisinni, sui restauri un giro da 500 miliardi

Sisiimi, sui restauri un giro da 500 miliardi Ieri l'interrogatorio del direttore generale del ministero. L'avvocato chiede la scarcerazione Sisiimi, sui restauri un giro da 500 miliardi 77 Castello di San Nicola Arcella ha rovinato il Re dei Beni Culturali SCALEA. E' durato poco meno di un'ora l'interrogatorio di Francesco Sisinni, 59 anni, direttore generale del ministero dei Beni Culturali, arrestato nell'ambito dell'inchiesta sui finanziamenti Fio per la ristrutturazione del Palazzo del Principe di San Nicola Arcella. Sisinni è stato interrogato nel carcere di Paola dal gip Mole, assenti i rappresentanti dell'accusa. Sisinni avrebbe riferito di non essere stato lui a predisporre la scheda di valutazione per il finanziamento dei fondi Fio e che, invece, avrebbe vietato espressamente, attraverso una circolare a firma sua, che venissero utilizzate nei lavori ditte private. Al termine dell'interrogatorio il difensore di Sisinni, l'avvocato lezzi, ha avanzato richiesta di remissione in libertà. Una decisione a riguardo potrebbe essere presa oggi. In una dichiarazione l'avvocato lezzi sostiene che «Sisinni ha chiarito la sua totale estraneità ai fatti contestati», aggiungendo poi che «non c'è nessun elemento che possa collegarlo con quanto successo». «Sisinni - ha aggiunto il difensore - non ha fatto nulla che non potesse o non dovesse fare». [AdnKronos] MROMA E lo ricordo bene, quel castello calabrese. Bello. Mica quella catapecchia inutile che oggi dicono. E neppure in stato disastroso. Anzi, ad occhio e croce, 28 miliardi di restauro mi sembrano un prezzo esagerato». Renato Nicolini, pidiessino, architetto ed ex assessore deU'Effimero, ha fat¬ to un salto sulla sedia quando ha letto i giornali, ieri, e ha visto le fotografie del castello di San Nicola Arcella. «Ero stato chiamato - racconta - dal sindaco, con altri architetti del mio gruppo, per progettare il restauro. Poi non se ne fece più nulla, subentrarono la Regione e il ministero. S'è visto come è andata a finire. Dietro quel restauro c'era un braccio di ferro tra sindaco di sinistra e Regione a guida democristiana. Si interessò personalmente Misasi. Intervenne anche Sisinni, che è un altro democristiano. Infine il Coreco bocciò la delibera che ci assegnava il restauro». La rievocazione di Nicolini può essere benissimo il punto di partenza per raccontare la storia di quest'ultimo scandalo, ovvero le tangenti legate ai beni culturali. Un settore, quello dei restauri, dove si calcolano 6-700 miliardi di spese all'anno. E dove l'andazzo non era diverso da quello di tutti gli altri ministeri di spesa. Non si scopre niente. Le cronache se ne sono già occupate, infatti, della Tangentopoli culturale. Si ricordino i guai per Vincenza Bono Parrino, ex ministra; per Antonio Cariglia, ex segretario del psdi; per i tesorieri di partito Citaristi e Ciampaglia; per molti architetti, soprintendenti, imprenditori. Ma ancora non si è spenta l'eco dell'impressione per l'arresto di Francesco Sisinni, il motore immobile del ministero, potentissimo direttore di tutte le soprintendenze d'Italia. Qualche giorno fa avevano arrestato il consigliere giuridico del ministro Ronchey, Tommaso Alibrandi, impelagato per mazzette alle Poste con Oscar Mammì. E il ministro, ieri, con una prudente nota ha fatto sapere che subentra il vice, Sante Serangeli. «La sospensione cautelare è un prowedimento dovuto per legge», osserva il ministro. Il fatto è che Francesco Sisinnni era veramente il «re» dei Beni culturali. Formidabile accentratoro, a tratti anche dispotico, presenzialista, intimo della nomenklatura democristiana. Amici e avversari se lo ricordano bene. Non era uomo che potesse passare inosservato. Per i politici che arrivavano a dirigere il ministero, il rapporto con Sisinni era sempre lo scoglio principale. E a confronto di certi esponenti socialdemocratici lui faceva un figurone. «Non si può dire che fosse un assenteista - sostiene il presidente di Italia Nostra, Alessandro Merli - e ci auguravamo che restasse fuori da quel giro». Di sicuro, il direttore generale Sisinni padroneggiava la macchina ministeriale. E gestiva con modi cortesi il rapporto con le imprese delle Partecipazioni statali. Il censimento «Memorabilia», condotto in tandem, era stato il loro capolavoro. Dalla sua poltrona, dove si racconta che stesse per quattordici ore al giorno, Sisinni controllava le due branche fondamentali del ministero: i beni culturali, appunto, e quelli ambientali. Una doppia funzione che lo ha portato spesso in prima pagina. Ma anche, visti i tempi, pericoli doppi. Sisinni, infatti, controllava a distanza l'erogazione dei fondi Fio per i restauri (nei momenti migliori, 500 miliardi l'anno di appalti) e i vincoli sul territorio (il suo era l'unico ministero che avesse la potestà di imporsi agli enti locali). E' proprio per via di un appalto del Fondo investimenti occupazione (gestiti in condominio con il ministero del Bilancio) che Sisinni è finito in un carcere calabrese. Ventotto miliardi erogati a fine 1988 su cui la magistratura so¬ spetta un robusto valzer di tangenti. Ma non si può dire che la polemica sui fondi del Fio sia recente. Anzi. «Sono anni che noi Verdi ci sgoliamo per segnalare l'uso sospetto di quei fondi», avverte il deputato ecologista Massimo Scalia. Scalia, insieme al suo collega Sergio Andreis, nel 1989 mise insieme un dossier sul Fio e lo portò a diversi ministri. Racconta lui stesso: «Quando andammo da Fanfani, che quell'anno era ministro del Bilancio, lui capi subito di che si trattava. Noi avevamo indagato su venti appalti sospetti. Ed era evidente che si trattava di un verminaio. Fanfani convenne. Si fece lasciare il dossier per studiarlo. Probabilmente approfondì. E bisogna dargli atto che bloccò tutto. Di fondi Fio non si parlò più». Ma la carenza di finanziamenti statali per i monumenti non è stato un ritornello continuo di questi anni? E Sisinni si impegnò a fondo per aprire le porte al capitale privato. E' stata tutta sua, ad esempio, l'idea di una sponsorizzazione privata per il Colosseo. Il direttore generale viveva il momento di massimo splendore: non c'era un ministro, Andreotti aveva l'interim, ma aveva ben altre cose per la testa, e il «professore» con la barbetta risorgimentale si poteva muovere a suo piacimento. Trovò così 40 miliardi della Banca di Roma da affidare alla soprintendenza archeologica. Intanto la Corte dei conti faceva le pulci al ministero, scoprendo che su 120 miliardi in bilancio ben 1190 finivano residui passivi. Francesco Grìgnetti Francesco Sisinni, il direttore del ministero dei Beni culturali finito in carcere per lo scandalo dei fondi Fio assegnati al castello di San Nicola Arcella in Calabria

Luoghi citati: Calabria, Italia, San Nicola Arcella