Ma che bel castello: era una stalla E ora sembra un cubo di cemento

Ma che bel castello: era una stalla E ora sembra un cubo di cemento Ma che bel castello: era una stalla E ora sembra un cubo di cemento LA CADUTA DEL VISIR A che bella figura, ma che bel castello, ma che splendido colpo di prestigio: il signor direttore generale del ministero dei Beni culturali Francesco Sisinni in manette per una storia complicata e, per quel che si vede - e non è poco -, per nulla onorevole. Con il direttore generale, un uomo potentissimo che era al ministero fin da quando questo ufficio dell'amministrazione fu istituito sotto la guida di Giovanni Spadolini, sono finite nei guai e in manette diverse altre persone, fra cui un rampollo del ministro Riccardo Misasi, e cioè Maurizio. Lo scenario, così come lo abbiamo visto in televisione, è propriamente calabrese: nessuna regione civile al mondo è stata manomessa e gonfiata, taglieggiata e sfregiata, demolita e imbottita di cemento e calcestruzzo come la Calabria. Lo so bene perché ho lavorato come giornalista per tre anni in provincia di Cosenza e quelle terre le conosco palmo per palmo. E palmo per palmo ho visto demolire con la ruspa di notte intere necropoli perché non disturbassero i piccoli affari di un geometra; palmo a palmo ho visto assassinare il litorale che da Paola va fino a Lamezia; e scassare, scompaginare, infierire sulla montagna, Sila e Presila, che risultano lardellate di palazzoni sovietici alti come una cattedrale, chalet finto-svizzeri, caserme da far paura e cubature mai finite, tetti abbandonati, terre devastate e arate. Intendiamoci: da quelle parti non si può neppure accusare direttamente la grande edilizia, la speculazione e la mafia: i calabresi hanno investito così i loro soldi di emigrati, di piccoli e medi professionisti, di dipendenti del Comune, della Provincia, della Regione, dell'Ente Sila e della Forestale. E il motivo per cui Francesco Sisinni, 59 anni, una barbetta dispettosa da quacchero, un'aria poveretto - tutt'altro che simpatica, tutt'altro che accattivante, un po' untuosa, un po' presuntuosa, è stato arrestato ieri mattina all'alba nella sua casa romana (tutti dormivano, tutti si costernarono, nessuno si sorprese, dicono le agenzie), ha a che fare con il degrado, anzi lo sterminio della Calabria. Perché? Perché a parere dei giudici quel bel castello che il signor direttore generale stava facendo sistemare e ristrutturare senza neppure aver chiesto e ottenuto i necessari permessi, non soltanto è una patacca, ma stava per essere reinserito sul mercato e nel paesaggio come un affare lucroso, un mostro semiantico da riciclare come centro congressi, centro culturale, centro ospitalità, centro di qui e centro di là, seguendo un'altra delle prassi maestre del sistema da Est europeo usato in Calabria, che vuole, accanto a palazzi indecenti e vomitevoli, dei centri assirobabilonesi per congressi, convegni, manifestazioni culturali: tutta roba vuota, invernale, devastante, ma legata a sovvenzioni, spremiture di fondi, menzogne edilizie, menzogne culturali, menzogne sociali. Menzogne. fl castello, chi l'ha visto ieri sera in televisione durante i telegiornali lo sa, non somiglia ai castelli normanni né a quelli tirolesi né a quelli aostani, meno che mai ai manieri dell'Italia Centrale, alle fortezze umbre o alle rocche costiere. Sembra, visto così cubico e imbragato nei tubolari Innocenti, semplicemente un palazzone. Un palazzone diroccato che di bello sembra che avesse soltanto il nome, «Castello del principe». Località: San Nicola Arcella, nei pressi di Cosenza. Prima di tornare al castello del principe (che valeva come rudere soltanto mezzo miliardo, ovvero quanto un appartamento medio di una periferia cittadina) conviene però dire quanto la notizia di questo arresto, più ancora di quella del figlio di Misasi, ha sconvolto gli italiani che intendono un po' di questioni artistiche e della politica dei beni culturali. Una questione e una politica che soltanto da un anno a questa parte hanno avuto una risalita d'ala, una crescita d'immagine e di speranza, da quando il giornalista Alberto Ronchey, quello che Fortebraccio rispettosamente prendeva in giro chiamandolo «ingegnere», è diventato titolare del ministero. Ma se Ronchey ha rappresentato la rottura con il passato o, come si dice oggi, la discontinuità, Sisinni rappresentava invece la continuità, la permanenza, la stabilità. E che genere di stabilità ha mai avuto questo ministero? Il palazzo di via del Collegio Romano, fra Spadolini e Ronchey è sta¬ to dato come area di parcheggio a politici che, sentendosi nominare ministri di quel ministero, battevano i piedi, frignavano e si abbandonavano talvolta a scene ridicole. Il che sta a testimoniare che, fatte salve le rarissime eccezioni che abbiamo detto, l'Italia ha avuto finora personale politicoamministrativo del tutto incapace sia pure di valutare, capire, comprendere l'importanza non foss'altro che del nome, di un tale ministero, in una città come Roma, in un Paese come l'Italia. Personalmente mi capitò di ridicolizzare, senza averne avuto né la vo¬ cazione né l'intenzione, la ministra socialdemocratica ai Beni culturali, che è quella tal Vincenza (Enza per gli amici) Bono Panino, che a sua volta si trova in mezzo a un mare di guai giudiziari. Il punto, nel suo caso come in quello di altri (e Ronchey, non dimentichiamolo, è finora una singola e promettente eccezione) è che i signori ministri e funzionari non si sono mai resi conto che essere titolare dei Beni culturali in Italia è molto, ma molto di più che essere ministro del Petrolio in Arabia Saudita o alle Foreste in Brasile. Si può discutere se i beni culturali che si trovano in Italia siano il 60 oppure il 75 o come dice qualcuno anche l'80 per cento del patrimonio mondiale. L'Italia è il solo Paese al mondo che ha (aveva) una straordinaria posizione geografica e paesistica, un'intera urbanistica medioevale e rinascimentale formata di intere città, arte greca, arte romana, la prima pittura e la prima scultura del mondo fino alle soglie del Seicento. Tutto ciò è stato imbavagliato, sommerso nella formalina delle parole e dei buoni propositi, agitato come questione vagamente culturale, quando invece riguardava e riguarda una delle primissime risorse di valore, ricchezza, richiamo del nostro Paese. Sisinni dai primi Anni Settanta ad oggi ha diretto di fatto il ministero. E ieri lo hanno portato via in manette sotto l'accusa di aver «concorso all'attuazione di una serie di illeciti attraverso i quali sarebbero stati ottenuti i fondi Fio per quasi 28 miliardi per la ristrutturazione del "Castello del principe"». Con lui, oltre a Misasi, è finito dentro anche un altro integerrimo funzionario: il dottor Aldo Ceccarelli, di 59 anni, sovrintendente ai Beni culturali e ambientali della Calabria. Va così dunque in galera un uomo che si potrebbe paragonare, se fosse all'altezza, a un vizir: un altissimo funzionario cui era stato affidato il controllo e la cura del bene più prezioso e delicato dello Stato. E Sisinni ha fatto comunque molto per il ministero. Non sa bene come l'abbia fatto, ma l'ha fatto. Era sempre stato molto laborioso, uno studioso di Dante di Maratea, vicina a capo Palinuro, quasi ai confini con là Calabria. Da Dante era passato al primo incarico: aver cura dei libri, e sembra di trovarsi in un racconto di Borges il quale aveva giustamente definito l'essere umano «questo imperfetto bibliotecario». Dagli scaffali agli istituti culturali, poi direttore dell'ufficio centrale per i beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici. Parole, come si vede, di un certo peso. Sisinni si dava un gran da fare e forse in modo non pessimo, ma brillava per un certo attivismo presenzialista o su questioni di immagine, piuttosto che per aver inseguito risultati importanti ma invisibili. Inseguiva il sogno alquanto provinciale di fare un «Beaubourg» dell'istituto di San Michele a Ripa, e poi «la Settimana dei beni culturali», «Memorabilia» (nome da lui dato al censimento) e tante altre cose di tono un po' altisonante, un po' eccessivo. Come quel castello del principe, che prima della cura sembrava una catapecchia, e dopo la cura - sarà un caso - ma pare un residence. Paolo G lizzanti «In Calabria ho visto demolire intere necropoli per non disturbare gli interessi di un geometra» Vincenza Bono Panino. Sopra: il ministro Ronchey e (foto grande) Francesco Sisinni