Farouk: come è difficile dimenticare quell'inferno

Farouk: come è difficile Il padre del bimbo rapito: si sveglia pensando alle botte Farouk: come è difficile dimenticare quell'inferno LA LIBERTA' UN ANNO DOPO I tanto in tanto la notte si desta all'improvviso. E' penoso, soprattutto da bambini, vivere un incubo ma dimenticare l'inferno è difficile, impossibile, forse. Ora è come se Farouk compisse il suo primo anno. Il primo anno di una nuova vita, quella incominciata dopo il lungo incubo: 177 giorni di prigionia, sgomento, disperazione, torture. Lui ride con la facilità di un bimbo di 9 anni, il volto paffuto è sereno, i capelli nascondono lo sfregio che i banditi gli hanno procurato all'orecchio, ma in certi momenti lo sguardo limpido si offusca. «E' vero, ogni tanto un po' di paura c'è. Succede tre o quattro giorni il mese. Sì, qualche volta ha gli incubi». E ricorda che cosa lo abbia svegliato? «Sì, lo ricorda». E che cos'è? «I maltrattamenti che riceveva, gli fanno ancora paura». Il tono di Fateh Kassam, il padre, è pacato, ammorbidito dall'accento francese. I ricordi sono vivi e, del resto, questa storia orrenda non è finita: ci sono ancora le indagini, ci sarà il processo. «Abbiamo recuperato bene, anche se per reinserirsi qualche problemino c'è. Farouk è andato a scuola, ha fatto la terza ed è stato promosso. Noi vorremmo avere soddisfazione giudiziaria, ma le cose sono lunghe e ogni volta che se ne deve parlare si rientra nella storia, insomma diventa una cosa un po' fastidiosa ma non c'è altro modo. Il sistema, poi, è molto lento, non succede niente da un anno: chi è stato arrestato è all'estero e gli altri, quelli che non hanno scoperto, sono fuori e vuol dire che sono a 100 chilometri da casa». La casa, il palazzotto gallurese in pietra rosa, è sulla collina di Pantogia, a ridosso della Costa Smeralda, quella che chiamano la costa dei ricchi. Quando tornò Farouk volle vedere tutto: da dov'erano passati i rapitori, se le porte fossero solide e se le finestre tenessero bene. L'aria è mite quella sera di metà gennaio del 1992, quando i banditi fanno irruzione. Fateh Kassam, che ha allora 36 anni, è in cucina con la moglie, Marion Evelyne Bleriot, 33; al piano di sopra, pronti per andare a dormire, i figli Nour Marie, 5 anni, e Farouk. I banditi, vestiti con abiti di velluto, hanno le loro informazioni: a loro risulta che monsieur, nato in Belgio ma di origine libanese, è parente dell'Aga Khan, altro che un dipendente da 50 milioni l'anno dell'hotel Luci di la Muntagna, da 330 mila e 420 la doppia nell'alta stagione! E attorno a questa certezza si svolgerà una trattativa interminabile e feroce, un braccio di ferro che vedrà coinvolti la famiglia, i banditi, alcuni preti, un vecchio furfante, eppoi polizia, carabinieri, amici. Su quei giorni interminabili Fateh Kassam ha scritto un libro: «Mio figlio Farouk - Anatomia di un rapimento». Lui ha raccontato la storia e Marco Corrias, giornalista di Epoca, l'ha messa insieme con stile felice. Perché il libro? «L'idea - dice Kassam - è partita così: all'inizio tutti, polizia e carabinieri, mi chiedevano di fare un'agenda, di scrivere tutto quel- lo che succedeva. Cosa che non ho mai fatto perché in quei momenti è difficile, rientrare la sera a casa e mettersi a scrivere è impossibile. Poi, quando sono incominciati gli interrogatori, per rintracciare le cose io ero un po' perso perché avevo i miei pensieri, ma non le date. Allora mi sono deciso, anche per lasciare qualcosa a Farouk». «Ho due scarponi piantati all'altezza del viso. Sono legato mani e piedi, steso sul pavimento di casa mia»: i banditi, si racconta nel libro, sono ora padroni della casa. E' un sequestro, andrà come andrà. Ma salta fuori che Fateh il duro ha giocato d'azzardo fin dal primo momento. E' vero che lei ha detto: «Sono un amico di famiglia, non chi cercate»? La risposta arriva repentina: «Loro mi dissero: "Chi è lei?" E io: "Un amico di casa". Ma loro sapevano chi era ognuno in questa casa, come si apriva e dov'erano le chiavi. Sarebbe stato molto strano non avessero saputo chi dovevano portar via». E portarono via Farouk. «Molte volte penso su come si è svolta la cosa. Ho fatto bene o non ho fatto bene? E' questo che mi fa riflettere, anche se la cosa è finita e non ci posso più far nien¬ te». Ma è vero che, a chi gli chiedeva come avrebbe trovato i soldi del riscatto, un giorno ha detto: «Sono nato ricco e morirò ricco»? «Ma non ho mai detto questo». Farouk scomparve nel buio con i rapitori e quando è tornato ha raccontato: «Piangevo, poi mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato ero in macchina. Uno mi ha chiesto se volevo una gomma. Ho detto di no: magari era avvelenata». Fateh lo ha rincuorato: «Ma no, che non era avvelenata, loro non volevano mica ammazzarti». ((Avrei fatto meglio a prenderla, allora». Prima richiesta di riscatto: 3 miliardi, pronta cassa. Poi si passò a 10 per scendere a sette. Ma i mesi passavano senza novità sostanziali. Una domenica di primavera Marion Evelyne Bleriot apparve nella parrocchia di Orgosolo e chiese aiuto alle donne: non potevano rimanere insensibili, negarle solidarietà. Occorreva superare la situazione di stallo perché loro chiedevano la luna e Fateh Kassam offriva molto meno. Don Sebastiano Sanguinetti, il parroco di Orgosolo, negherà sempre di aver porto una mano pietosa ma ha operato senza stan¬ carsi e si è dato da fare anche monsignor Giovanni Melis, per anni vescovo di Nuoro: sarebbe stato lui a giudicare con favore un intervento di Graziano Mesina, il «re del Soprammonte». E' andata così, monsignor Melis? «Per riguardo verso coloro che ora hanno responsabilità non voglio dir niente». Chiarisca almeno un punto: Mesina si è offerto lui, attraverso una sua mediazione, oppure è stato chiamato dalla famiglia Kassam? «E' proprio questo il punto che non voglio chiarire. Cerchi di capirmi». Mica facile. Più che ruvida la trattativa è feroce. Mesina tratta, ma anche altri tengono contatti ed è proprio attraverso quel canale, rimasto sconosciuto ufficialmente, che si arriverà a conclusione. Non prima di momenti crudeli, purtroppo, come quando, a giugno, i banditi, attraverso un altro prete, don Luigino Monni, fanno avere alla famiglia un lembo dell'orecchio di Farouk. Mesina parla di miliardi, perché la storiaccia si chiuda, ma, si legge nel libro, Kassam è duro almeno quanto i criminali: «Ora sono stufo, non ho più intenzione di discutere. Per me la trattativa si chiude qui. Ho a disposizione 640 milioni. Se li vogliono, lascino libero Farouk, se non li vogliono, che se lo tengano: farò come se fosse morto in un incidente stradale». Poi la liberazione: «senza riscatto» è la versione ufficiale e così sostiene anche Fateh Kassam. Al contrario i banditi hanno incassato circa un miliardo e 600 milioni: un miliardo sborsato dai servizi, il resto da un consorzio di imprenditori sardi. Il piano prevedeva che quando sarebbe avvenuto il pagamento le forze dell'ordine avrebbero acciuffato i banditi e recuperato il denaro. Ma ognuno fece il suo gioco, chi bene e chi meno bene. Mesina dette l'annuncio della liberazione di Farouk un'ora e mezzo prima che il piccolo fosse consegnato alla polizia. Perché? Il piccolo in quel momento non era più nelle mani dei sequestratori, ma forse in quelle di un intermediario e così, nell'incertezza, il blitz dovette essere annullato. Più tardi sembra che le indagini qualche frutto lo abbiano dato: sospettato fin dal primissimo momento per il sequestro di Faouk e già noto per aver preso parte al sequestro di Sara Niccoli, in Toscana, viene catturato Matteo Boe, 36, di Lula. Lo prendono a Portovecchio, in Corsica, e in tasca gli trovano alcune foto di una grotta che, individuata nei monti vicino al suo paese, sarà riconosciuta dal bimbo. Lo hanno interrogato, ma al giudice Mauro Mura ha detto: «Non so niente. Eppoi parlerò al processo». In manette anche Ciriaco Baldassarre, 24, pastore, e ricercato Mario Asproni, 33, entrambi di Lula, come Boe. E' tutto, o quasi. «Ma un sequestro non si fa in tre», commenta il giudice Mura. Per ora, al processo Farouk non ci pensa: e domenica, per il suo primo compleanno, a Luci di la Muntagna faranno festa grande. Vincenzo Tessandori «Mio figlio è andato a scuola, ed è stato promosso. Adesso vorremmo chiudere questa storia anche nelle aule giudiziarie ma i tempi sono troppo lunghi» i Sopra, Graziano Mesina. A destra, il piccolo Farouk a passeggio con la madre Nella foto grande Farouk, nel giorno del rilascio. A sinistra il padre

Luoghi citati: Belgio, Corsica, Lula, Nuoro, Orgosolo, Toscana