Novara stordita si affida a manager ottantenni di Zeni
Novara stordita si affida a manager ottantenni Novara stordita si affida a manager ottantenni UNA CITTA' SOTTO CHOC NOVARA DAL MOSTRO INVIATO «Passerà», sospira la segretaria al primo piano di palazzo Bellini, stucchi e quadri del Settecento, sede della banca che a Novara è la «Banca». Un piccolo sospiro, l'unico indizio di un'inquietudine che è un misto di amarezza e di imbarazzo. La Banca popolare coinvolta in uno dei tanti filoni di «Mani pulite»? Piero Bongianino, l'amministratore delegato, accusato di concorso in bancarotta fraudolenta per il fallimento della Sasea di Florio Fiorini, finanziere dalla fama equivoca nel gran mondo della finanza? Sorpresa, imbarazzo, incredulità. E bocche cucite. E' dura incassare accuse e sospetti quando non si è una banca qualsiasi ma la più grande tra le banche popolari, la più importante in Europa, un piccolo colosso con 482 sportelli, quasi 29 mila miliardi di depositi. Soprattutto quando si è la banca più piemontese di tutte: già, perché anche il più novarese dei novaresi, il più «bugianen» dei «bugianen», della sua Popolare, piccolo distillato di piemontesità che si impone nel mondo, va fiero. Più dei Pavesini che da troppo tempo non sono i biscotti più amati dagli italiani, più della De Agostini, quella degli atlanti e delle guide. Tutto fa Popolare, a Novara. I cartelli d'indicazione nelle strade principali dal marchio inconfondibile, quell'ape che gli uomini della banca traducono con orgoglio: «E' il simbolo dell'operosità». I finanziamenti a mezza industria e a quel che resta della- gricoltura. La riscossione dei tributi ma anche il maggior contributo per il restauro del teatro Coccia, la piccola Scala dei novaresi, e agli interminabili lavori di sistemazione della cupola di San Gaudenzio che sta lì, con le impalcature che si arrampicano in cielo, a far da sfondo a palazzo Bellini. «Tutto passa dalla banca», confessano imprenditori, commercianti, politici. Una città e una banca: se Siena ha il Montepaschi, Novara ha la Popolare, 122 anni di storia, mai uno scandalo, un potere e un'organizzazione invidiati. «E se fosse una bolla di sapone?», chiedono al caffè Bertani, tappa d'obbligo nel passaggio lungo il corso. Sa di bugia piccola piccola, l'interrogativo al Bertani. No, non è una bolla di sapone quella scoperta dal giudice milanese dai capelli castani che insegue il puzzle di un finanziere che mille cose ha fatto e mine ne ha disfatte attorno a un universo di società più decotte che illustri: Sasea, First, De Angeli Frua... «Quando si andrà a vedere cosa hanno fatto altre banche ben più note, se ne scopriranno delle belle», si difendono gli uomini della Popolare. Aggiungendo che il loro, ammesso che lo sia, è un peccato veniale. Peccatuccio pagato a caro prezzo: 216 miliardi dirottati a coprire il buco dei prestiti alla Sasea ormai inesigibili con buona pace per l'utile che non è mai stato misero come quest'anno, solo 2 miliardi e 700 milioni contro i 140 miliardi dell'anno prima e i 196 di due anni fa. E che ha riaperto vecchie polemiche, antichi contrasti. La guerra mai ufficialmente dichiarata tra Bongianino e Lino Venini, per esempio, che adesso, all'età di 84 anni, è tornato in campo: presidente a tempo pieno, pieni poteri e potere di controllo su Bongianino, l'uomo che otto anni fa l'aveva messo da parte. L'accusa sotterranea a Bongianino? Non aver detto no a personaggi quanto meno sospetti, a Fiorini ma anche a Parretti, quello della scalata alla Mgm, e a Ciarrapico, l'ex re delle minerali, l'ex presidente della Roma. Ribaltone morbido ma pur sempre ribaltone: l'ottantaquattrenne Venini presidente al posto dell'ottantaseienne Di Tieri, ammalato e polso debole. «Se ne va Di Tieri a 86 anni, torna Venini che di anni ne ha 84: il fatto si commenta da solo». Arriva da via Cavallotti, sede dell'Associazione industriali la prima vera punzecchiatura. E se i pro¬ blemi della Popolare fossero tutti in quello statuto strano che fa sì che ogni azionista, abbia mille azioni o una sola, conti sempre e soltanto un voto: una regola che rende autonomo come in nessun'altra banca il vertice? E se l'inghippo nascesse in quell'altro passo statutario che consente di diventare presidente solo a chi ha alle spalle almeno 20 anni di Popolare? «Forse bisognerebbe privatizzare la Popolare», insistono gli industriali. Vero, le medesime barriere statutarie hanno reso autonomi gli uomini della banca dai politici: «Sì, l'autonomia della Popolare dai partiti è totale, ma anche l'autonomia dagli azionisti». Alt, un momento. Forse l'industria ha il dente avvelenato, forse la Popolare non è la banca più attenta alle esigenze delle imprese che da queste parti sono soprat¬ tutto esportatrici: «Se devi esportare in Cina e hai bisogno d'aiuto, meglio il Credit o l'Ambroveneto, o la Bnl», sussurra chi sa. Forse. Ma certo non sono gli unici, gli industriali, a rompere la cappa del silenzio. Sono in molti a sperare dopo la bomba Sasea in un cambio di stile, forse di strategia. A cominciare dal neosindaco, Sergio Menisi, docente in Bocconi, esperto di bilanci, l'uomo che ha portato la Lega di Bossi a essere primo partito in Comune. «La Popolare è l'istituzione simbolo di Novara, ogni suo problema ricade su tutta la città». E allora? «Allora la banca deve recuperare un ruolo nello sviluppo novarese, un ruolo per la piccola-media industria novarese». Chissà. Armando Zeni Il neosindaco leghista Menisi: «L'istituto di credito deve recuperare un suo ruolo nello sviluppo di questa zona»
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