BOLAFFI ATTACCA I MANDARINI ROSSI di Pierluigi Battista
BOLAFFI ATTACCA I MANDARINI ROSSI BOLAFFI ATTACCA I MANDARINI ROSSI Ma Chiarini difende la Ddr raloberst Jodl dichiara: «Certo qualcuno sapeva». Grottesca è la difesa di Walter Funk, ex presidente della Reichsbank, terrorizzato quando gli contestano di aver custodito gioielli e denti d'oro strappati agli ebrei: «Pensavo che fosse un normale deposito». Eppure la banca aiutava le SS a convertire quel materiale in contanti. All'ultima ora si apre un giallo, il suicidio di Goering con una capsula di cianuro. Qui Taylor fornisce le lettere di addio, in parte inedite, dell'ex capo della Luftwaffe e altri indizi illuminanti. Goering scriveva: «Avrei accettato in ogni momento di essere fucilato. Ma il Reichsmarschall della Germania non può venire impiccato. E poi l'esecuzione sarebbe stata uno spettacolo per la stampa...». Rivela che aveva tre capsule, una durante il processo la teneva negli stivali, ma la versione non convince l'autore. Lui ritiene che, per procurarsi o conservare il cianuro, il gerarca nazista molto probabilmente ebbe l'aiuto di un tenente americano: un «amico» (morto nel 1954) che ricevette in dono da Frau Goering una penna stilografica d'oro, un prezioso portasigarette e un orologio svizzero. Il saggio, fitto di particolari di cronaca, ha anche il respiro della coscienza di fronte alla storia. Quando le sentenze sono eseguite (undici condanne a morte su 21 imputati, le macabre fotografie distribuite alla stampa, qualche accusa anche per il boia maldestro) restano interrogativi. La giustizia è privilegio dei vincitori? Taylor dice di no. «Le leggi di guerra non sono a senso unico». Un compito che ora tocca all'Onu. DN prete spretato: ecco che cos'è Angelo Bolaffi per il germanista Paolo Chiarini. Bolaffi, anch'egli studioso di cose germaniche, un passato di militanza intellettuale nella sinistra, sferra con il suo recente II sogno tedesco (Donzelli editore) un attacco ai «mandarini rossi», agli intellettuali tedeschi come Grass e Habermas che hanno dato prova «di una clamorosa dimostrazione di insensibilità, al limite del cinismo, nei riguardi delle grandi domande di libertà, di benessere, di democrazia e perché no anche di sacrosanta "borghese" normalità dei tedeschi orientali»? Vuol dire allora, replica irato Chiarini sul Manifesto, che l'autore del libro non vede l'ora di «gettare la tonaca alle ortiche» per un incoercibile bisogno «di mettere una pietra sopra una fase ormai superata della propria biografia intellettuale». E così gli argomenti addotti dall'avversario non vengono discussi (o demoliti, se è il caso) per quelli che sono, ma reinterpretati come fossero indizi di un disturbo psicologico, materiali per una rudimentale autoterapia, sintomi di un errore intellettuale che poi da altro non discende se non dall'inammissibile «tradimento» delle antiche appartenenze. E a dimostrazione di quanto la «ferita Germania» sia ancora aperta nella sensibilità europea anche dopo il crollo catastrofico del muro di Berlino è bastato che Bolaffi con il suo libro riabilitasse l'esperimento sfortunato della Repubblica di Weimar e quello «riuscito» della Germania di Adenauer per scatenare furibonde reazioni tra gli intellettuali italiani che in passato non hanno le¬ sinato elogi verso quella Germania Est tutta «Berliner Ensemble» ed epopea antifascista che il tempo ha provveduto a svelare per ciò che era: un'immensa caserma adibita a laboratorio per gli esperimenti della Stasi. E se Bolaffi invita a rileggere la storia della Repubblica federale tedesca come il tempo della riconciliazione tra la Germania e la cultura liberal-democratica dell'Occidente, la cosa appare sgradevole a Paolo Chiarini che proprio il 17 giugno scorso, quarantesimo anniversario della rivolta operaia di Berlino Est, non rinuncia a cantare in polemica con Bolaffi la sua lode alla defunta Repubblica democratica tedesca. E lo fa citando un brano di un «aureo libretto» del sociologo Wolf Lepenies in cui si esorta «la Germania unita» a «trovare un comune orientamento politico-morale anche ricollegandosi all'antifascismo della prima Rdt». Citazione appropriata di un intellettuale come Lepenies di certo non annoverabile nell'illustre schiera dei «mandarini rossi». Se non fosse che in altri passi dell'«aureo libretto» menzionato da Chiarini (tradotto in italiano dal Mulino con il titolo Conseguenze di un evento inaudito) la Germania dell'Est viene definita «uno Stato criminale» che «pretendeva di legittimarsi attraverso l'antifascismo e sfruttava senza ritegno quelle mentalità che avevano reso possibile il fascismo in Germania», uno Stato in cui «nessuno studioso di letteratura avrebbe potuto leggere Kafka, nessun filosofo Wittgenstein, nessun sociologo Max Weber e nessuno psicologo Freud». Fortuna che, almeno da quelle parti, il Muro è crollato davvero. Pierluigi Battista
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