REA: IL MONDO E' NOCERA di Domenico Rea
REA: IL MONDO E' NOCERA REA: IL MONDO E' NOCERA Domenico Rea: «Ilo giralo il mondo ma rum ilo visto cose tanto diverse da quelle di Nocera. I lo incontralo donne bellissime ma nessuna era "vera" come quelle del mio paese» io ho visto tutto. Mi creda, laggiù, in piccolo, c'è quello che si può trovare nel resto del mondo. Perché poi, gratta gratta, una volta che hai conosciuto i vizi capitali e quelle poche virtù che ancora si possono trovare, hai visto tutto. E là io li ho conosciuti. Poi ho girato il mondo, ma non è che abbia visto qualcosa di diverso. Le donne, ad esempio. Ne ho viste, di donne, e bellissime, in giro per il mondo. Ma le donne che ho conosciuto a Nocera, be' quelle donne non le ho mai più incontrate. Ed erano donne, quelle...». Penso alla lingua con cui è scritto questo suo «Ninfa plebea», il libro con cui ha vinto lo Strega. Bella lingua. Leggi e senti gli odori, vedi colori dappertutto, senti le cadenze di chi parla, e le facce che ti vengono incontro sembra che le puoi toccare se solo volessi. Non è la classica lingua letteraria del bello scrivere. Qualcosa di diverso. Da dove nasce? «E' una lingua per tre quarti inventata. Vede, io sono un autodidatta, non è che ho studiato regolarmente. La mia famiglia era una famiglia letteralmente anal- fabeta e di libri non se ne parlava proprio. Ho fatto da me. Quando avevo quindici anni traducevo il Boccaccio in italiano corrente, così, per imparare a scrivere. A Nocera si parlava solo dialetto. Io vivevo in quella lingua lì e intanto divoravo i classici... che poi, a ben vedere, al dialetto erano più vicini di quanto si creda. Leopardi, Alfieri, i trecentisti, i barocchi... macinavo tutto, e alla fine quello che è venuto fuori è questa lingua qua. Dove ci sono parole che non esistono, ma non importa. «Lontanare», ad esempio. Mi piace, viene da Leopardi. Non lo trova sul dizionario. Ma nei miei libri sì. Che le devo dire... uso le parole che mi piacciono, non importa se sono italiano, dialetto o cosa. Mi innamoro di loro e le uso. Tutto il mio scrivere, d'altronde, parte da lì. Non è tanto una questione di avere delle storie da raccontare: io racconto delle parole. Dei gruppi di parole. Capisce?». E il Novecento, cosa ha imparato dalla letteratura del Novecento? «A me piacevano tanto Brancati, Bassani, Buzzati... e poi Gadda, naturalmente, e Pratolini, e il pri¬
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