«Seminava sangue e terrore»

«Seminava sangue e terrore» «Seminava sangue e terrore» «Ecco come giustiziava chi lo tradiva» IL RACCONTO DEL PENTITO Cm ROMA ™ ERA anche un medico di fiducia a disposizione di Totò Riina nella «latitanza dorata» trascorsa sempre in Sicilia. Lo racconta Baldassarre Di Maggio, che in centinaia di pagine di interrogatorio rese ai magistrati di Palermo da gennaio ad oggi è sceso nei minimi particolari non solo degli omicidi che ha commesso, ma anche della vita quotidiana dei boss mafiosi, primo fra tutti Totò Riina. «Posso innanzitutto parlare del dott. Cina, che ho già indicato come medico curante di Riina... Mi venne presentato come uomo d'onore, con le parole "è la stessa cosa", dallo stesso Riina... Il Cina era venuto a visitare il Riina che soffriva di coliche, credo dovute a dei calcoli... Ho rivisto il dott. Cina alcuni anni dopo, quando andai a fare una visita a Bernardo Brusca, ristretto presso il reparto detenuti dell'ospedale civico... Andammo a prendere il caffè insieme. In quell'occasione il Brusca Bernardo mi presentò quali uomini d'onore Bagarella Leoluca e Calò Giuseppe... Non ebbi alcuna particolare difficoltà ad entrare nel detto reparto, perché ci fu una guardia, in divisa della polizia di Stato, che ci aprì la porta dopo che noi ci eravamo fatti vedere dalla finestra estema...». Ai suoi figli, il «boss dei boss» di Cosa nostra non ha mai fatto mancare niente, si trattasse delle vacanze o dei sacramenti. Racconta Di Maggio: «Frequentemente il nucleo familiare si sposta da Palermo a San Giuseppe Jato (ultimamente per le festività pasquali), in una villa sita in Contrada Addamuse, in terreni di campagna. Il parroco di Borgetto ha impartito il sacramento dell'eucaristia ai figli, in un monastero, ove il predetto sacerdore attendeva l'arrivo dei predetti...». Quel giorno, secondo Di Maggio, andò così: «Accompagnai la moglie di Riina Salvatore ed i suoi quattro figli che dovevano fare la prima comunione. Li prelevai, con la mia auto, alla Rocca di Monreale... Andammo a Borgetto, in una chiesa piccola che non so precisare, dove c'era un sacerdote piuttosto anziano; da lì salimmo al santuario sopra il paese, di fronte al quale c'è un grande convento di monache, e lì i ragazzi fecero la prima comunione. Non vi erano altre persone, oltre a noi e a Francesco Iacono, che mi aveva fatto compagnia... Non so se venne redatto un certificato, o se venne dichiarato il vero nome dei ragazzi». In un'altra occasione, invece, Riina doveva avere tutt'altri pensieri e preoccupazioni. Fu quando decise di "processare" e poi giustiziare Giovanni Giordano detto «Gianni u' napulitanu», sospettato di avere rapporti coi carabinieri di San Giuseppe Jato dopo l'arresto di Bernardo Brusca. «Raggiunto il Giordano in contrada Chiusa - racconta Di Maggio - il Griffazzi e gli altri con l'Alfa 33 lo fermarono, simulando di essere carabinieri ed invitandolo ad andare alla Stazione dove il comandante gli doveva parlare...». Lo portarono in una casa dalle parti di Boccadifalco. «Dopo poco tempo arrivò Salvatore Riina con ima macchina guidata da Giuseppe Sansone detto Pino. Il Giordano era stato legato con le braccia ad una sedia, ed insieme al Riina entrai in casa anch'io, con il volto incappucciato. Il Riina interrogò il Giordano sull'arresto del Brusca, ma quello negò ogni responsabilità... A quel punto era chiaro che il Giordano doveva essere ucciso, e fu Mariuccio Brusca a strangolarlo, dopo che lo costringemmo a sdraiarsi per terra, mentre io gli tenevo i piedi e Giovanni Busceini gli teneva un piede sulla schiena. Il Riina assistette allo strangolamento... Dopo spogliammo il cadavere del Giordano, e lo infilammo in un sacco di plastica per portarlo fino ad un fusto metallico da 200 litri che era lì vicino. C'era già pronto un bidone da 60 litri di acido solforico, che noi versammo nel fusto, e poi coprimmo il fusto con un coperchio...» ìgio. bia.] Totò Riina, il boss arrestato dai carabinieri a Palermo il 15 gennaio scorso