Olgiata in scena rimane il killer

Olgiata, in scena rimane il killer Due anni fa a Roma moriva strangolata la contessa Alberica Olgiata, in scena rimane il killer Il giudice insiste: ho parlato con l'assassino INCHIESTA : ' ...... . ■■ - '■■ ' ■" ' UN GIALLO VERSO L'ULTIMO CAPITOLO E' m ROMA m ANCORA presto, le 8 di mattina sono passate da poco, ma nella villa c'è già movimento. Il papà è uscito per andare in ufficio, i bambini sono in cucina con un amichetto che ha dormito lì; la madre è su, in camera da letto, la cameriera le ha appena portato la colazione. In giardino, intorno alla piscina, due operai stanno lavorando con tavoli, ombrelloni, sedie e luci: stasera ci sarà una festa. Quando squilla il citofono interno, la signora non ha ancora toccato il tè né i biscotti. Chiamano dalla cucina: «Il tostapane è rotto». ((Adesso vengo». Alberica Filo della Torre del Pezzo di Cajanello sposata Mattei, 42 anni, contessa di stirpe napoletana, si infila la vestaglia di raso e scende in cucina. Il tostapane non è rotto, solo che per farlo funzionare bisogna inserire la manopola, che invece è staccata. Adesso tutto è risolto, la contessa prende da un armadio un altro pacco di biscotti e si prepara a risalire. Ma ormai il suo destino è segnato, l'assassino è già in camera. Alberica percorre la scala di legno nero con la moquette arancione, e si infila nel bagno. Lascia la porta aperta, e dallo specchio può vedere l'interno della camera. Prende due pillole, sta per uscire e a questo punto, probabilmente già dallo specchio, si accorge dell'assassino. Che per adesso è soltanto un ladro, infilatosi in camera per rubare un po' di gioielli. Alberica non urla, si sfila uno zoccolo per tirarlo contro l'intruso, ne viene fuori quella che nel gergo burocratico dei verbali di polizia si chiama «colluttazione». Che in pochi minuti si trasforma in omicidio, il linguaggio della giustizia aggiungerà l'aggettivo «volontario». Sì, perché il ladro sceglie di diventare assassino. Dopo aver colpito Alberica alla testa con il suo stesso zoccolo, continua ad infierire sulla contessa, le afferra la gola con le due mani, stringe, stringe finché la vittima non la smette di divicolarsi e muore soffocata. Le foto impietose della polizia scientifica metteranno in evidenza quella macchia scura proprio al centro del collo, sul davanti, dove gli uomini hanno il pomo d'Adamo. Adesso la contessa è un cadavere disteso sul pavimento in mezzo a tanto sangue, la testa che sfiora la parete, e l'assassino, chissà perché, le copre il volto avvolgendolo in un lenzuolo. Poi infila di corsa le scale e si dilegua. In un angolo restano il tè ancora da bere e i biscotti, a terra le pillole che Alberica Filo della Torre stringeva quando s'è accorta che non era più sola in camera. Passeranno quasi due ore prima che una cameriera scopra il cadavere. Il giallo dell'Olgiata è tutto qui, racchiuso in pochi minuti, tra le 8,45 e le 9,15. Un delitto consumato senza che nessuno tra i tanti che giravano per la villa a quell'ora si accorgesse di niente. Era mercoledì 10 luglio 1991, due anni fa. I giornali parlavano del prossimo incontro tra i Presidenti degli Usa Bush e dell'Urss Gorbaciov, della manovra fiscale del governo guidato ancora da Giulio Andreotti, di un'operazione antimafia con 24 arresti a Reggio Calabria. Faceva già caldo, ma ancora sopportabile: 33 gradi a Roma, non certo il clima torrido di questi giorni. Nella villa immersa nel verde del comprensorio chic a Nord della città ci si preparava a festeggiare la festa per i dieci anni di matrimonio tra la contessa Filo della Torre e il costruttore Pietro Mattei. Un appuntamento a cui non si è mai arrivati, perché dodici ore prima della festa s'è consumata la tragedia passata alle cronache come «il giallo dell'Olgiata». Un giallo imperfetto, perché dopo due anni e litri d'inchiostro consumati a scrivere della contessa assassinata, manca ancora la soluzione: il nome dell'assassino. Nella villa 28 A dell'Olgiata, una delle più belle sparse nei 600 ettari di abitazioni, viali, prati e boschi, la famiglia Mattei non c'è più. Da quasi un anno s'è trasferita al quartiere Prati, e la lussuosa casa a tre piani con parco e piscina è stata affittata ad un diplomatico straniero. Lì i bambini, Domitilla e Manfredi, 9 e 11 anni, non potevano più stare; si rifiutavano di salire al piano di sopra, dove avevano visto la mamma morta, e il papà ha deciso di portarli via. Con loro dall'Olgiata se n'è andato anche l'ultimo ricordo di quel delitto, e questo enorme spazio verde protetto da vigilantes e passaggio a livello è tornato ad essere l'oasi di ricchi veri e finti; niente più giornalisti e fotografi in agguato, niente più viavai di poliziotti e carabinieri. Adesso i Mattei abitano in una casa a poche centinaia di metri dal tribunale dove, in un ufficio del quinto piano, il pubblico ministero Cesare Martellino sta ancora cercando la soluzione di questo delitto. Il magistrato, che nel frattempo è passato ad occuparsi di inchieste sulle tangenti e di giustizia sportiva (è stato lui a fare l'indagine che ha portato il Perugia in serie C), non si arrende. Anche perché è sicuro di aver visto in faccia l'assassino, nella convinzione che chi ha ucciso la contessa Filo della Torre aveva frequentato la casa, e quindi è stato già ascoltato almeno come testimone. «Ho sempre sostenuto - dice - che si tratta di una persona che "gravitava" nella villa dove è stata uccisa la contessa. Ho interrogato tutte le persone che la frequentavano, l'assassino è uno di loro». Un tormento non da poco quello di chi sa di aver visto in faccia l'omicida ma non ne conosce il nome. Per adesso il giudice Martellino ha deciso di far uscire di scena chi - stando agli atti giudiziari - sicuramente è fuori: chiederà l'archiviazione del procedimento a carico di Winston Manuel e Roberto Jacono, i due indagati ufficiali dell'inchiesta. Il primo era un cameriere filippi¬ no licenziato dalla contessa; avevano trovato delle macchie di sangue sui suoi pantaloni, lui negava ogni accusa, e alla fine è risultato che il sangue con cui si era sporcato era suo. Il secondo, Jacono, è un ragazzo amico di famiglia, figlio della signora che aiutava i piccoli Mattei nello studio. Gli inquirenti erano convinti di aver fatto centro, anche perché Jacono si comportava in modo strano, come se avesse qualcosa da nascondere. Anche sui vestiti di Roberto gli investigatori trovarono delle macchie che potevano essere di sangue: su quei pantaloni venne combattuta una furiosa battaglia legale tra periti di parte e d'ufficio, e alla fine il responso fu che non era sangue, ma pomodoro. Eppure gli avvocati di parte civile, quelli che assistono Pietro Mattei, ancora recriminano: l'analisi non fu fatta con la necessaria tempestività, le tracce si erano deteriorate. Ma tant'è. Scaduti i termini delle proroghe chieste dal magistrato, anche Roberto Jacono esce di scena. L'imperterrito Martellino però non si arrende. Sull'onda di un altro «giallo dell'estate» senza soluzione, quello di via Poma che in realtà ha ben poche similitudini con quello dell'Olgiata, a parte gli scarsi risultati dati dal Dna; a cominciare dal movente del delitto: in via Poma c'era sicuramente un aspetto di carattere sessuale, qui non si riesce a trovare nulla che non sia l'obiettivo del furto, e quindi del delitto occasionale -, ha dichiarato che c'è ancora qualche traccia da seguire, e che cambierebbe anche il «contesto» di questo omicidio: «Lavoro in un'altra direzione. Ma se non sono convinto non adotterò nessun provvedimento; non dimentico mai di avere a che fare con persone». Gli ultimi accertamenti degli investigatori, sfociati in un rap¬ porto dei carabinieri ancora fresco, datato 15 giugno 1993, hanno portato ad un nuovo interrogatorio della madre di Alberica Filo della Torre, la duchessa Anna del Pezzo di Cajanello, che dal Portogallo s'è trasferita in Austria; e ad alcune verifiche fatte dai carabinieri su certi conti bancari in Svizzera. E ancora, nuovi interrogatori dei vigilantes che quel giorno controllavano le entrate e le uscite dall'Olgiata. Tutte mosse che portano ad immaginare un ulteriore controllo dell'alibi di Pietro Mattei, anche se la posizione del marito della contessa è parsa inattaccabile fin dal primo momento: nei minuti in cui s'è consumato il delitto Pietro Mattei era nel suo ufficio, all'Eur, dall'altra parte di Roma. Sarà il seguito dell'inchiesta a dire che cosa si nasconde dietro i nuovi accertamenti. Per ora c'è solo una montagna di carte accatastate nell'ufficio del giudice; e anche lì, come in tutti i fascicoli delle inchieste passate alla storia della cronaca nera, c'è qualcosa che sa di misterioso. Come la presenza nella villa, subito dopo la scoperta dell'omicidio, di un funzionario del Sisde amico della contessa, forse arrivato all'Olgiata prima ancora degli investigatori. O come la posizione di Melanie, la baby-sitter inglese che dice di non sapere nulla perché era andata nella lavanderia della villa a sciacquare un costume da bagno. C'era agli atti una sua telefonata, intercettata, nella quale Melanie diceva ad un'amica: «Ho paura che se lui sa che l'ho vista mi ammazza». Ma su questo punto il giudice Martellino sgombra il campo dai sospetti: «Abbiamo chiarito tutto, la telefonata ara stata tradotta male. La ragazza secondo me dice la verità». Chi mente, allora, signor giudice? «L'assassino». Giovanni Bianconi Verso l'archiviazione l'inchiesta sui due principali sospettati Il marito ha abbandonato la villa I bambini non volevano più entrare nella camera della madre Pietro Mattei con i figli Manfredi e Domitilla. Sopra, Roberto Jacono; a sinistra la baby-sitter La contessa Alberica Filo della Torre, assassinata due anni fa nella sua villa all'Olgiata (a sinistra)

Luoghi citati: Austria, Portogallo, Reggio Calabria, Roma, Svizzera