«Lucciola a 82 anni e non mi fermerò»
«Lucciola a 82 anni, e non mi fermerò» Ogni mattina da trent'anni lascia la sua casa, prende l'autobus e «va a lavorare» in centro a Genova «Lucciola a 82 anni, e non mi fermerò» «Ho ancora tre clienti al giorno, e guadagno come le ragazze» GENOVA. Ottantadue anni, ma non li dimostra. Alla sua età, potrebbe fare la nonna. La vita ha voluto diversamente e lei, Paolina, in fondo non se ne dispiace. Facendo «la vita», arrotonda la misera pensione da ex operaia: quattrocentocinquantamila lire al mese. Nel centro storico di Genova la conoscono tutti, sia pure soltanto di vista. «Io qui ci lavoro e stop. Non dò confidenza a nessuno». E' la più anziana delle «lucciole». Gli anni le hanno consentito soltanto un po' più di agio, una casa lontano dai vicoli, che si può immaginare pulita e ordinata come appare lei. Ha i capelli bianchi corti, pettinati all'indietro con cura. La carnagione chiara, segnata dal tempo. Indossa una gonna lunga al ginocchio plissettata, che odora di bucato, e una maglietta impeccabile. Ha l'aria di una tranquilla nonnina, che al mattino, da 30 anni, si sveglia di buon'ora e prende l'autobus. Per andare al «lavoro», in un «basso» freddo e umido, dove riceve i clienti occasionali. «Lavoro dalle 8,30 alle 11,30», dice Paolina, seduta su uno sgabello accanto alla porta del «basso». Così facendo, alla curiosità dei vicini non ha mai dovuto render conto. «Abito in periferia, lontano da qui, e nessuno si sogna di chiedermi dove vado a quell'ora». Potrebbe andare ovunque. Al supermercato, a far la spesa. A casa del figlio, a coccolare i nipotini. Al circolo ricreativo per gli anziani, a giocare a carte. Invece, Paolina va nel centro storico a prostituirsi. La trovi in mezzo alle giovani di colore, ai travestiti, ai drogati. «Quando non c'erano loro, i drogati, si lavorava meglio. Adesso si siedono sui gradini, vicino al mio locale, e si bucano davanti a me, noncuranti del fatto che li sgrido». Il lavoro, quello, Paolina assicura che c'è sempre stato, a dispetto dell'età, del fisico ingrossa¬ to, della pelle avvizzita. «Lavoro quanto le altre e guadagno la stessa cifra in tre ore». C'è orgoglio, nelle sue parole. Non ha protettori, perché «con le colleghe non c'è rivalità». Ed i clienti, a lei, non mancano: «Pochi, due o tre al giorno, bastano». Paolina racconta la sua storia, fatta di miseria e con pochi ricordi. «Sono venuta a Genova a 4 anni, con i miei genitori che ritornavano dalla Germania. Erano emigrati per cercare lavoro. Era una bella storia, la loro. Si erano conosciuti a Lucca, dove mia madre faceva la sarta e papà il manovale. Si innamorarono al primo sguardo. E si sposarono. Ma in Italia mancava il lavoro e dovettero cercarlo all'estero». Nella Genova del dopoguerra, con un'economia in crescita grazie ai traffici del porto, Paolina trovò lavoro in un cotonificio di San Quirico, nella Valpolcevera. «Ci rimasi sino alla pensione, nel '57. A quel tempo, le marche era¬ no poca cosa e così i soldi della pensione non bastavano mai. Io avevo due figli da tirare su. Mi misi a fare la "vita"». In un magazzino buio e disadorno, uno dei tanti che si aprono sui vicoli del centro, di quelli dove ora vivono a gruppi gli extracomunitari, Paolina conserva quei pochi ricordi che la vita le ha lasciato e di cui non vuol parlare. Dice: «Gli uomini sono tutti uguali, prima ti prendono, poi se ne vanno». E chiude il discorso. Nell'oscurità si intravedono un vecchio tavolo con le sedie, dietro una tenda che nasconde il letto. Paolina sta sulla porta ad aspettare e intanto si lamenta della vista, che non è più quella di una volta. «Il medico ha detto che ho la cataratta e dovrei farmi operare. I soldi ce li ho, ma ho paura dell'intervento. Preferisco andare avanti così, con delle gocce. Mi alleviano il fastidio». Paola Cavaliere
Persone citate: Paola Cavaliere
Luoghi citati: Genova, Germania, Italia, Lucca, San Quirico
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