«Ecco perché credo a Marramao»

Dopo l'archiviazione delle accuse, la Scarparo rischia una denuncia per calunnia Dopo l'archiviazione delle accuse, la Scarparo rischia una denuncia per calunnia «Ecco perché credo a Marramao» Il giudice: non c'è prova di molestie ROMA. Aveva ragione il professore. 0 meglio, non aveva ragione la scrittrice che lo aveva denunciato per molestie sessuali. Molestie intellettuali e dunque ghiotte, quelle del caso Marramao-Scarparo, che aveva dilettato per giorni i giornali, schierando prò e contro i due protagonisti letterati, antropologi, sociologi, perfino storici. Chi dalla parte del docente di Filosofia politica all'Università di Napoli, direttore della Fondazione Basso, consigliere politico di Achille Occhetto, improvvisamente piombato a condividere gli stessi guai di Mike Tyson e di William Kennedy Smith, che negava tutto. Chi in difesa di lei, giovane e bella scrittrice esordiente, che raccontava di aver subito, un mese prima, pesanti avances mentre discorreva di libri e di recensioni a casa del professore. Non proposte, ma gesti espliciti, da lei respinti buttandola sul ridere. E proprio questo atteggiamento disincantato e umoristico non ha convinto il pubblico ministero Diana De Martino, la quale, pur perplessa dalla versione Marramao, alla fine ha respinto la denuncia. E anzi, a giudicare dalle ultime righe delle motivazioni della sentenza pubblicata ieri, in cui chiede la restituzione degli atti al proprio ufficio, avrebbe intenzione di procedere contro la scrittrice, probabilmente per calunnia. Ma cosa, esattamente, non ha convinto la giudice? Intanto, ha osservato, «l'accusa si fonda esclusivamente sulle dichia- razioni della pane lesa», ciò che «rende indispensabile valutare attentamente l'univocità e la coerenza delle stesse». Segue la descrizione del fatto. L'invito del professore, accettato dal momento che precedenti incontri erano stati improntati alla «massima correttezza». Invece quel pomeriggio era andata diversamente. «Il professore avrebbe iniziato un inaspettato e non gradito corteggiamento, dilungandosi ad accarezzare i capelli e le gambe della ragazza. Poi, nonostante i rifiuti, si sarebbe sdraiato su di lei tentando di baciarla sulla bocca, toccandola tra le gambe e strofinandosi con il pene sulle sue cosce». «Smettila, sei ridicolo, non mi va», avrebbe detto lei sulle prime, passando poi a un tono più fermo. A quel punto «il professore avrebbe di colpo interrotto le effusioni, avendo avuto sentore che dal palazzo di fronte qualcuno potesse osservarlo». Lei lo raggiungeva alla finestra, e, quando lui tentava di nuovo di «riprendere le intimità», se ne andava dalla casa, con la scusa di dover andare a prendere il figlio. Ma alla giudice «appare macroscopicamente inadeguato manifestare il proprio rifiuto ad effusioni quanto mai intime "buttandola sul ridere" e con frasi non fornite di sufficiente contenuto dissuasivo». E poi, la scena della finestra «non appare configurare né il modus operandi di un violentatore, né l'atteggiamento che ci si può attendere dalla vittima di una violenza». «Perplessa» è il pm dalla versione del professore, «che esclude qualsiasi tipo di avance e riconduce la denuncia della Scarparo a una "ripicca" per non averla condotta a una cena». Ma insomma, tanto basta per non accogliere la denuncia. Il professore è fuori Roma per lavoro, e la moglie Gabriella Bonacchi rifiuta commenti a caldo. Scarparo invece risponde eccome, indignata. «Insomma, avrei dovuto scappare urlando, terrorizzata, piangere a dirotto, strapparmi i capelli come una donna del Sud?», commenta stupita e sconvolta «dal fatto che la giudice - una donna, per di più - non abbia condiviso il mio atteggiamento comico. Io mica mi scandalizzo a ve¬ dere un pene, ma in quella circostanza lo trovavo del tutto ridicolo. Non lo volevo, non mi andava. E questo non basta?». Non basta, evidentemente, almeno in Italia, dove il reato di molestia sessuale, a differenza che negli Stati Uniti, prevede la violenza. «Una legislazione europea in questo senso c'è, ma non l'abbiamo ancora recepita», aggiunge amara la scrittrice. Non ci aveva pensato, nello sporgere denuncia? «Io sono una che non si tira indietro. Ma le pare che per farmi pubblicità mi sarei ficcata in questo pasticcio, rischiando in più adesso di finire accusata per calunnia?». Maria Grazia Brazzone li filosofo Giacomo Marramao e la scrittrice Angela Scarparo, nemici in tribunale

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