Il comando o tutti a casa di Andrea Di Robilant

Ma Andreatta in Senato frena: andarsene sarebbe un atto irresponsabile Il comando o tutti a casa Fabbri alla radio striglia l'Onu POLEMICA TRA ALLEATI ROMA. «L'Italia è un Paese che ha ancora una sua dignità: se la richiesta italiana per un ruolo nel comando dell'Unosom non verrà accolta, proporrò al governo di ritirare il nostro contingente». Dal suo letto all'ospedale militare Celio dove si sta riprendendo da una broncopolmonite («va meglio, va meglio, sono sfebbrato»), il ministro della Difesa Fabio Fabbri lancia un ultimatum a Washington e Nazioni Unite dai microfoni di Radiouno per tutti. Poi forse si pente di essersi lasciato sfuggire una dichiarazione così altisonante e subito aggiunge che a un ritiro degli italiani comunque non si arriverà «perché ho ragione di ritenere che la richiesta verrà accolta». E conclude, più cautamente, che se la richiesta italiana venisse davvero respinta, «ne dovremo trarre le conseguenze». Aldilà di quelle che sono le intenzioni di Fabbri, il tono delle sue dichiarazioni riflette il clima sempre più univoco e ultimativo che si è venuto a creare negli ambienti politici — ormai non c'è parlamentare che non batta il pugno chiedendo più comando per l'Italia — su una questione tecnicamente e politicamente delicata. Ma in realtà qual è la posizione del governo italiano su questa vicenda del comando Unosom? Il ministro degli Esteri Andreatta ha confermato ieri a Camera e Senato (ha pure ritardato la sua partenza per Tokyo, ma poteva risparmiarsi la fatica visto che le aule erano quasi vuote) che il governo ha avanzato una richiesta «formale» sia a Washington che alle Nazioni Unite e che non ci sono obiezioni di fondo. Non solo: l'Italia aveva anche avanzato la richiesta di un ruolo di maggior peso nelle decisioni politiche sul futuro della Somalia e Andreatta ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro cui partecipe¬ ranno i sette Paesi più impegnati nella missione Unosom. I colloqui inizieranno giovedì a Washington e a rappresentare l'Italia sarà Maurizio Moreno, vice capo di gabinetto alla Farnesina e esperto di questioni africane. Ma queste rivendicazioni sul piano militare e politico non mettono in discussione — su questo il ministro è stato assolutamente fermo — l'impegno del governo a rimanere in Somalia fino alla conclusione della missione. E questo per almeno due motivi. Il primo riguarda le conseguenze sul campo: «Se l'Italia si sottraesse all'Unosom — avverte Andreatta — arrecherebbe un danno forse irreparabile alla condotta delle operazioni e impartirebbe anche un gravissimo colpo all'autorevolezza dell'Onu». Ma un ritiro comprometterebbe anche — e questo è il secondo motivo della preoccupazione di Andreatta — tutto il lavoro che la diplomazia italiana sta portando avanti per acquistare un ruolo di maggior spicco in seno alle Nazioni Unite. «Come potrebbe oggi l'Italia — si chiede il ministro —, nel momento in cui si pone il problema di una presenza meno saltuaria al consiglio di sicurezza dei maggiori Paesi, esimersi dal mantenere il proprio sostegno e la propria partecipazione a questa nuova stagio¬ ne di responsabilità dell'Onu?». E' una campagna — questa per un ruolo importante nel Consiglio di sicurezza Onu — che è ancora tutta in salita (mentre Germania e Giappone appaiono ormai ben piazzati), ma è certo che un ritiro del contingente italiano comprometterebbe forse definitivamente le già esigue chances dell'Italia. Andrea di Robilant Ma Andreatta in Senato frena: andarsene sarebbe un atto irresponsabile Fabbri e Andreatta Il ministro degli Esteri replica al collega che minaccia il ritiro del contingente

Persone citate: Andreatta, Fabbri, Fabio Fabbri, Maurizio Moreno