Jeans mostrine e lacrime Un funerale unisce l'Italia

Con Scalfaro le autorità dello Stato. Non i segretari dei partiti, ad eccezione di Fini Il padre di uno dei caduti: spero che questo serva a non mandare altri ragazzi allo sbaraglio Jeans, mostrine e lacrime Un funerale unisce l'Italia ROMA. «Si fa presto a dire: coraggio...». Quanto ha ragione, Giusi, e quanto enorme adesso appare la distanza tra il pubblico cordoglio e la sua disperazione. Un mese ancora, e quel sergente che adesso è lì, ai suoi piedi, chiuso in una cassa di mogano, sarebbe diventato suo marito. Si fa presto a dire «eroi»: questo cambia l'intensità dei suoi singhiozzi? E' calata in una strana sospensione l'atmosfera di Santa Maria degli Angeli, alle otto e venti del mattino. Fuori, l'afa già si stende come piombo fuso sulla folla assiepata dietro le transenne: qui dentro, nel fresco delle navate, in attesa che s'inizino i funerali di Stato il brusìo dei militari s'è interrotto di colpo per fare spazio a un lamento amplificato dall'eco. Giuseppina Nicodemi, piccola e bionda, promessa sposa di Stefano Paolicchi, uno dei tre caduti di Mogadiscio, è arrivata prima del suo fidanzato, e forse comincia a capire soltanto adesso. Un banco più avanti ci sono i parenti di Pasquale Baccaro: strano come la gente del Sud si presenti sempre in anticipo agli appuntamenti con l'ufficialità, quasi temesse di disturbare. I parenti del tenente Millevoi, loro sono rimasti fuori, in attesa dei feretri. Elvio, il padre, regge ancora sui nervi, è il solo che non si difenda dietro lo sbarramento dei militari. «Spero - dice - che tutto questo serva a non mandare altri ragazzi allo sbaraglio». Suona un po' stridulo, il grido di «Folgore!» che i paracadutisti schierati sul piazzale lanciano all'arrivo del furgoni scuri. Suona un po' sfibrata, la màrcia funebre intonata dalla banda dei Granatieri di Sardegna. E più tardi suonerà tremolante la tromba che, in chiesa, sovrapporrà i suoi squilli alle invocazioni di preghiera. I para, intorno alle bare dei loro caduti (sono coperte solo dai baschi rossi e una manciata di distintivi), restano in quella minacciosa posizione da «duri» così contraddetta dalle espressioni. La bara del tenente ha intorno sei lancieri di Montebello, e sul coperchio berretto e sciabola, simbolo di una gerarchia che non vale più. Ma questo, l'avrete già visto in tv. Quel che non si poteva vedere era l'incredibile mélange che man mano si stava creando sotto le navate, la sconosciuta tribù che si andava formando nella sovrapposizione cromatica fra giberne e jeans, capelli lunghi e crani rasati alla militare, camicie a fiori e tute mimetiche. Da una parte, lancieri nella divisa storica e para ipermoderni, dall'altra un popolo egualmente giovane, diversissimo nel tono e nei modi eppure in credibilmente vicino allo schieramento che solo qual che anno fa si sarebbe definito opposto. Tutti lì, a commuoversi nello stesso modo, a mettere assieme concezioni di vita diverse, forse opposte, in una partecipazione silenziosa eppure forte: a quella tribù, almeno, il senso della nostra «missione» in Somalia è apparso chiaro. Fluiva dai microfoni della Basilica l'inevitabile, sincera retorica di occasioni come questa. Calavano sulla folla il cordoglio del Papa, il messaggio del cardinale Ruini, si dilatava triste il tentativo di monsignor Giovanni Marra, l'ordinario militare, il celebrante, di trovare definizioni e consolazioni. « Siamo sconvolti ma non disperati... sono caduti per una nobile causa, sono uomini morti per la pace... beati i miti perché erediteranno la Terra, gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio». Beato Andrea, «giovane capace di sacrificarsi per gli altri». E Stefano, «pronto a sposarsi alla fine di agosto». Beato Pasquale, «che al termine del servizio voleva rientrare nella società civile con una gran voglie di impegnarsi nel lavoro». In prima fila c'era un'altra ragazza - chissà perché, ormai sono le immagini di giovani donne a segnare i nostri funerali - che stringeva la mano di Elvio Millevoi. Un'altra fidanzata, Sandra. Alta, bruna, maglione scuro e jeans, si nascondeva dietro una cascata di capelli. E ha retto fin quasi all'ultimo: fino al momento in cui la tromba commossa che era in fondo alla chiesa ha intonato il «Silenzio». Chissà se la consolerà sapere che in quel momento non era la sola a piangere. Piangeva, molte file più indietro, un giovanottone che si era trascinato in chiesa con le stampelle e risponde al nome di Salvatore Scano. Tenente anche lui, anche lui in Somalia: anche lui coinvolto nell'agguato dei cecchini di Aidid, ma soltanto ferito e rientrato in patria po¬ che ore prima del «CI30» con le tre bare. Piangevano i ragazzi in divisa schierati lungo la navata e i borgatari dell'ultimo gruppo, quello rimasto quasi sulla porta. Piangeva un gruppetto di somali che si era piazzato in disparte, sotto un arco, quasi a nascondersi. Ed anche il trombettiere. Cos'altro? Lo spazio per registrare una presenza dello Stato mai così discreta, sommessa, misurata (se si esclude forse il momento in cui il sacerdote ha offerto la Comunione alle autorità, prima che ai parenti dei morti). Col presidente Scalfaro e la figlia Marianna c'erano gli alti gradi militari, il presidente del Senato Spadolini, quello della Camera Napolitano, il premier Ciampi, i ministri Mancino, Conso, Elia, Colombo. Mancavano però tutti gli altri: proprio tutti. Con l'eccezione di Gianfranco Fini, non c'era un solo segretario di partito. Da Occhetto a Martinazzoli a Del Turco, Ferri, Bogi, Costa, non c'era stato politico di rilievo che avesse avvertito il bisogno di testimoniare partecipazione nel modo più semplice e diretto. Ma tanto le agenzie già stavano battendo altrove la solita litania di dichiarazioni. La storia di questi anni ha come sviluppato da noi un rituale della partecipazione. Ormai è prassi che, all'uscita dalle chiese delle bare di vittime illustri, la gente sciolga rabbia e commozione in un lungo applauso. Ieri mattina, a Santa Maria degli Angeli, gli applausi sono stati tre, e non perché altrettanti erano i caduti di Somalia. Ancora la marcia triste intonata dalla banda, ancora il grido di «Folgore!», ancora tre furgoni che si allontanano verso i tre capi del Paese. Già, verso gli angoli d'Italia: nazione che ieri, per mezz'ora, in qualche modo si è ritrovata unita. Chissà se in questa prospettiva le morti di Andrea, Stefano e Pasquale potranno acquistare un senso. Giuseppe Zaccaria In un angolo della chiesa quasi nascosti un gruppetto di somali Quando è suonato il silenzio anche loro piangevano A fianco dei para con i crani rasati tanti ragazzi con i capelli lunghi Con Scalfaro le autorità dello Stato. Non i segretari dei partiti, ad eccezione di Fini km I funerali delle vittime della strage di Mogadiscio Le bare portate a spalla da uomini della Folgore e le madri dei tre caduti Ai funerali ha voluto partecipare anche il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con la figlia Marianna

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