Stramberie di Gauguin e fuggiaschi

Aosta presenta i capolavori nati nelle lande bretoni di Pont-Aven e Le Pouldu Aosta presenta i capolavori nati nelle lande bretoni di Pont-Aven e Le Pouldu Stramberie di Gauguin e fuggiaschi Van Gogh: «Mandatemi almeno gli autoritratti» SAOSTA TRAMBERIE: così Gide, in vacanza in Bretagna, ancora studente, chiamò I le tele di Gauguin e suoi amici, viste per caso in una locanda sguarnita, tra le «grandi sabbie» di Le Pouldu. L'aspirante scrittore si vedeva a intervalli con Mammà sulle spiagge bretoni alla moda, godendo di qualche ora di indipendenza; ed è così che capita nella sperduta locanda. Vorrebbe un bicchiere di sidro, ma è attratto da quell'ammasso di tele e cavalietti che allarmano un angolo del salone,da pranzo. Lo racconta in Si legraìn se meurt: «Non appena solo, mi precipitai sulle tele: un crescente stupore si impadronì di me. Avevano l'aria di un un guazzabuglio infantile e nulla più, ma i colori erano così vivaci, singolari e squillanti che mi passò la voglia di rimettermi in cammino. Ebbi il desiderio di conoscere di persona artisti capaci di stramberie così piacevoli». Quel «guazzabuglio» è l'oggetto della mostra «Gauguin e i suoi amici pittori in Bretagna: Pont-Aven e Le Pouldu», a cura di Jean-Marie Cusinberche, aperta ad Aosta da ieri al 7 settembre: 161 opere - 29 di Gauguin e 132 degli amici - provenienti da musei di tutto il mondo, per un valore di 220 miliardi di lire. La haignaidé, che è forse la più famosa opera di Gauguin esposta ad Aosta, è stata assicurata per 18 miliardi. Non la pensiamo più come Gide, ovviamente, oggi: e non ci appaiono più «stramberie» le seducenti opere di Gauguin, Bernard, Sérusier e amici, che animano questa duplice mostra di Aosta (il periodo di PontAven al Convegno di Saint-Benin e quello di Le Pouldu al Museo Archeologico). Non equivochi il visitatore: è un'esposizione, sia pure ragguardevole, che omaggia in tutto il proprio tito* lo riduttivo. Non si pensi dunque ad una retrospettiva completa di opere dell'artista «esotico» (come quella memorabile a Parigi, nell'88) né ci si illuda d'imbattersi in conclamati capolavori. Gauguin del resto l'aveva teorizzato, che «anche uno schizzo può rivelare un maestro». La domanda è: si può concepire una mostra a tesi come questa (Gauguin, i suoi sodali e il periodo bretone) senza nemmeno uno dei capolavori chiave, come La Belle Angele oppure La vision après le sermone, o di Emile Bernard Le Blè noir e Les Bretones dans la prairie verte, di Sérusier Les Grands sables od il nevralgico Talisman, che avrebbe aperto la strada misteriosofica dei Nabis e che in pieno Ottocento pare già un Kupka astratto? La triste conferma - se ancora necessario - che oggi l'Italia è considerata per le mostre un Paese sottosviluppato e certe opere, forse, non ci vengono più concesse (curioso, semmai, non vederle nemmeno in riproduzione nel pur corposo catalogo Fabbri, mentre sarebbero utilissime, invece, per orientare il visitatore). Così, se non c'è l'imprescindibile Cristo giallo di Gauguin («Quando riusciranno gli uomini a capire il senso della parola Libertà? Sapete già da tempo a che cosa sono voluto approdare: al diritto di osare, sempre... i pittori che oggi godono di tale libertà mi sono tutti debitori»; ed è vero, pensiamo agli espressionisti), accontentiamoci se non altro del ra¬ pido schizzo del volto amaro del Salvatore, innervosito dall'incongruo passaggio di un leprotto ai piedi della Croce. O dell'inquietante, magistrale Rue rose à Pont Aven di Emile Bernard del 1892 (quando ha già litigato con Gauguin, anche per motivi mondani di leadership) che vale da vero introibo alla mostra. Con quell'angosciante teatrino dello scenario paesano vuoto d'ogni presenza, le case sagomate come in un ca¬ stone di vetrata ed il risucchio abissale del nastro sanguinante della via spremuta nel mosto, che ruscella verso di noi, invischiandoci in un cammino senza uscita. Guardiamo ancora quell'inaugurale Jole de Bretagne (sia pure un'interlocutoria zincografia): ma c'è già tutto il programma poetico di Gauguin. Uno schematico riquadrato netto contorna l'immagine di ieratiche contadine alle prese con i covoni di grano. Eppure qualcosa nervosamente rilutta, si ribella al tracciato esatto della cornice: che sia uno sbuffo spettinato di spighe che rompono il quadro ottico, o il cagnino riottoso che esce dall'inquadratura. Gauguin si contrappone al credo ottico degli impressionisti (cui pure è legato, via Pissarro): il quadro dev'esser qualcosa d'altro, di più. Schema sintetizzato della memoria interiore. Bisogna prelevare dalla Natura, non imitare: «L'arte è astrazione: prendetela dalla natura sognando davanti a essa e pensate più al creare che al risultato. Il solo mezzo d'innalzarvi a Dio è fare come il nostro divino maestro, ovvero creare...». Stanco della famiglia e di troppi figli (vedi lo schizzo del neonato Clovis sulle spalle avvizzite della madre, di cui già traspare come il teschio) l'eterno fuggente Gauguin sceglie la Bretagna magica dei dolmen e dei calvari di pietra, la romantica Cornovaglia del Renée di Chateaubriand, tutto Tavola di Re Artù, zoccoli e cuffie di Pizzo, quale economica «Tahiti francese» (Chassé). Ma anche Pont-Aven risulta troppo alla moda, ci sono pittori pompier, «forestieri insopportabili» come il padre di Maupassant ed altri artisti americani troppo loquaci, per cui Gauguin, trascinandosi dietro la sua piccola corte di allievi-ammiratori, si rifugia tra le spiagge aride e deserte di Le Pouldu (che in antico bretone significa «luogo delle acque rapide»). La mostra di Aosta evidenzia bene questo clima di confraternita rude ed insieme affabile, dove domina il carisma ombroso di Gauguin, ma in cui effettivamente «ognuno è ad un tempo maestro ed allievo», come disse il pittore olandese Verkade, che si sarebbe fatto monaco. Atmosfera conventuale, scambi, scontri ed imprestiti (e Van Gogh lontano sogna quell'accolita, chiedendo loro almeno gli autoritratti, «perché la mia camera sia più abitata»). Pittori grandi, come Bernard e Sérusier, o soltanto interessanti, come Bevan, Colin, Jourdan, Lacombe e De Haan. Oppure il «bizantino» Filigor che «dipingeva come pregavano gli antichi cristiani». Marco Vailora Gide: «Guazzabugli infantili, ma colori talmente vivi che non potei più ripartirmene» Uno dei quadri esposti ad Aosta: «Le quattro stagioni» di Emil Bernard, dipinto nel 1891. A sinistra un ritratto di donna di Paul Gauguin. La mostra espone in due sedi diverse 161 opere (29 del «pittore esotico»), per un valore complessivo di oltre 220 miliardi. Ad Aosta sono già arrivate le prenotazioni di trentamila visitatori. La mostra, inaugurata ieri, resterà aperta tutta l'estate