Con la Melato sui «Tram»: alcol risse delirio di Osvaldo Guerrieri

Una serata mondana ricordando Visconti e Marion Brando Per la regia di De Capitani, ha debuttato a Spoleto il dramma di Tennessee Williams, lo spettacolo più atteso del Festival Con la Melato sui «Tram»: alcol, risse/ delirio Potere evocativo, qualche zavorra, esito discontinuo, successo caloroso SPOLETO DAL NOSTRO INVIATO Che platea l'altra sera, al Teatro San Nicolò, per il debutto di «Un tram che si chiama Desiderio». C'era di tutto. Attori di prima e di seconda grandezza, direttori di Stabili, elegantoni dall'accento esotico, belle donne in bellissime «mises»: tutti chiamati dallo spettacolo più atteso del festival, tutti idealmente abbracciati a Mariangela Melato, che del «Tram» è l'anima fragile e mitomane. C'era anche la figlioccia di Tennessee Williams. Chissà che impressione ha tratto dall'omaggio di Spoleto al drammaturgo scomparso dieci anni fa, all'artista timido e autodistruttivo che ebbe qui un pubblico privilegiato e amico. I film, le mostre e questo spettacolo prodotto dal Teatro di Genova e dall'Eliseo di Roma in collaborazione con il Nuovo di Milano, sono infatti il segno di un legame a cui il tempo ha dato connotazioni (o deformazioni) mitiche. E affioravano i ricordi. Visconti che metteva in scena il «Tram» chiamando intorno a sé Rina Morelli, il giovanissimo Vittorio Gassman per la parte del polacco Stanley Kowalski, Marcello Mastroianni per il ruolo di Mitch. Altri tempi. Altre atmosfere. Se allora (1947) si respirava una diffusa aria di scandalo, oggi si aspettano rivoluzioni interpretative che la regia di Elio De Capitani e le scene di Ferdinando Bruni offrono soltanto in parte. La New Orleans povera che Visconti fece disegnare da Franco Zeffirelli è ora un «corrai» delimitato da robusti pali collegati da funi; intorno si ergono muri altissimi e granitici che non lasciano neppure immaginare il cielo. Vuote occhiaie scavate nelle pareti ci dicono che, oltre quei pertugi, si dannano e si amano gli strani abitanti di quel pezzo di città: immigrati polacchi, spagnoli e qualcuno che qui parla con accento pugliese. E' questo il luogo in cui arriva Bianche Dubois. Cacciata per immoralità dalla scuola in cui ha insegnato Lettere, è venuta a rifugiarsi dalla sorella. Non sa per quanto tempo. Stella ha sposato quel ragazzone di Kowalski, attivissimo nel sesso, nel poker, nel bere, nello sport. Bianche porta la propria fragilità e soprattutto il peso di un'inutile memoria aristocratica. Beve, racconta una vita che forse è stata sua e forse no, si scontra con una realtà così diversa. In lei si condensa il dramma dell'America di allora, incerta tra il nobile passato coloniale e la realtà piccolo borghese. Bianche è insicura anche tra gli istinti dell'individualismo egoistico (il sesso, soprattutto) e le ragioni della collettività. Finirà in una clinica psichiatrica, dopo il naufragio di un amore pulito con Mitch e dopo il trauma di un rapporto sessuale con il cognato. Uno stupro? «E' dal primo momento che vogliamo questo», dice Kowalski. Caldo, sudore, alcol, fumo, risse, delirio. Williams ha rappresentato l'America nevrotica con malinconia e strappi di jazz, più che con suggestioni cecoviane. Il «Tram» ha conser¬ vato intatto un forte potere evocativo, è ancora dominato da una scrittura sinuosa e densa. Ma appare zavorrato da ridondanze e da lungaggini spesso insopportabili. Sarebbe stato desiderabile» qualche drastico taglio in questa messa in scena basata sulla nuova traduzione di Masolino d'Amico, sarebbe stato fortemente produttivo stringersi più da vicino intorno alle ossessioni di Bianche. Invece De Capitani ha lasciato che il «Tram» fluisse con tutta la sua grazia e tutte le sue scorie, ne ha seguito il rotolare simbolico, caricandolo di ulteriori, insistiti segnali (lo specchio che s'infrange, gli schianti di tuono che squassano una psiche già labile). In alcuni punti ha ceduto al suo descrittivismo eccessivo e grottesco (quell'ombra ingigantita di Kowalski che s'avventa rapace sull'indifesa Bianche ha effetti più comici che drammatici). Insomma ha elaborato uno spettacolo disuguale, in cui non prevale né lo stile «Elfo», riconoscibile anche nell'uso straniarne del playback, né l'illustrazione sontuosa. Con effetti anche sulla recitazione. Mariangela Melato è meravigliosa quando si concede al delirio della propria mitomania, quando affonda nella vita inventata. Qui la sua personalità vigorosa dà il meglio. Convince meno quando deve comunicarci incrinature, tremori invisibili, tempeste silenziose. Ester Galazzi è Stella, il polacco Aleksandar Cyjetkovic è un Kowalski privo del sex appeal di cui trasudava - dicono - Marion Brando al debutto del «Tram». Giancarlo previati è Mitch. Gli altri fanno quel che possono, con correttezza. L'esito? Un successo al limite dell'ovazione. Of course. Osvaldo Guerrieri Una serata mondana ricordando Visconti e Marion Brando Mariangela Melato e, a destra, Tennessee Williams, scomparso dieci anni fa

Luoghi citati: America, Roma, Spoleto