«Mussolini io vi voglio bene»

«Mussolini, io vi voglio bene» «Mussolini, io vi voglio bene» // diario di Puntoni che origliava alla porta ifl OME in un vaudeville, quando Vittorio Emanuele III riceve Benito Mussolini, il pomeriggio del 25 luglio a Villa Savoia, un uomo origlia dietro una porta del salotto in cui avviene lo storico colloquio. E' il generale Paolo Puntoni, aiutante di campo del sovrano, il quale raccontò l'episodio nel suo diario, pubblicato a puntate sul settimanale Tempo nel 1956-'57. Nel 1958 Palazzi, editore della rivista, raccolse le puntate in un volume che ebbe scarsa circolazione. Ora queste pagine riappaiono per i tipi del Mulino: Parla Vittorio Emanuele III, con un'introduzione di Renzo De Felice che ne spiega il valore storiografico. Il generale Paolo Puntoni, nato a Pisa nel 1889, morto a Roma nel 1967, figlio di un grecista che fu rettore dell'Università di Bologna, è stato la persona «più vicina di qualsiasi altra» al piccolo re - scrive De Felice -, «essendo in sostanza il suo capo di gabinetto e avendo con lui rapporti quotidiani». Il diario comincia nel 1939, quando Puntoni è scelto come aiutante di campo dal re, e finisce nel 1946, dopo l'abdicazione. Scritto con uno stile asciutto e piacevole, accusato di partigianeria filo-monarchica, è stato invece considerato attendibile da uno storico come Frederick W. Deakin nella sua Storia della repubblica di Salò. Ma che ci faceva Puntoni dietro la porta, mentre il re e il duce discutevano? Era stato lo stesso sovrano a chiedergli di appostarsi. Come si sa, Vittorio Emanuele III non era un cuor di leone: «Siccome non so come il Duce potrà reagire - disse a Puntoni -, la prego di rimanere accanto alla porta del salotto dove noi ci ritiremo a discutere. In caso di necessità intervenga...». Che cosa si aspettava la graziosa maestà? Che il capo del fascismo lo aggredisse e malmenasse? Mussolini in realtà era diventato il fantasma di se stesso. Puntoni è l'unico testimone del colloquio, seppure nella posizione di una camerierina indiscreta. Gran parte del dialogo gli sfugge, perché i due parlano sommessamente, «come se temessero di essere ascoltati». Non sente la famosa frase del re, citata invece nelle memorie del duce: «L'Italia è a tocchi». Però riferisce una ripicca personale che il sovrano si prende, per il torto fattogli quando Mussolini aveva voluto assumere il comando delle forze armate: «Mi hanno assicurato che quei due straccioni di Farinacci e di Buffarini che avevate vicini, quando non si sapeva se avrei firmato o no il decreto, dissero: "Lo firmerà altrimenti lo prenderemo a calci nel sedere"». A parte questo scatto iroso, Vittorio Emanuele dichiara a Mussolini di essergli amico: «Io vi voglio bene». E verso la fine del colloquio, durato una ventina di minuti, gli dice con «Sua Maestà disse: stia lì dietro pronto a intervenire» «Il sovrano si arrabbiò e sbottò: quei due straccioni di Farinacci e Buffarmi» Il generale Paolo Puntoni, testimone segreto dell'incontro con il Duce

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