1943-1993 due crisi allo specchio

due (mi allo specchio A mezzo secolo dalla caduta del fascismo, un altro sistema è alle corde. L'Italia cambia ma resta il trasformismo due (mi allo specchio ■m |A partitocrazia muore : come il fascismo cinji quant'anni fa, nella notili te tra il 24 e il 25 luglio. SÀI La crisi improvvisa, la liquefazione dell'apparato, il fuggi-fuggi dei gregari e dei clienti, qualche suicidio, la mancanza di un qualsiasi disegno alternativo, il frettoloso recupero di vecchi leader e facce pulite: tutto rinvia l'Italia del 1993 a quella del 1943. L'analogia non piacerà agli storici e irriterà gli antifascisti. Ma può servire, con qualche forzatura, a capire meglio quello che sta succedendo oggi. All'origine del confronto vi è la constatazione che non c'è mai stata in Italia, dall'Unità in poi, alternanza democratica di forze contrapposte. Dal 1861 il Paese è sempre stato governato da grandi blocchi trasformisti che conservano il potere allargandosi ora verso sinistra ora verso destra. Può accadere che all'interno del blocco occorra di tanto in tanto un «cambio della guardia»: Depretis al posto di Minghetti, Rudinì al posto di Crispi, Salandra al posto di Giolitti, Bottai al posto di De Vecchi, Bastianini al posto di Ciano, Pella al posto di De Gasperi, Segni al posto di Fanfani, Rumor al posto di Moro, Cossiga o Forlani al posto di Andreotti. Si alternano gli uomini, ma il blocco sopravvive tenacemente e lascia intendere a tutti che vi è un solo modo per partecipare alle gioie e ai benefici del governo: mettersi d'accordo con il gruppo dirigente. L'accordo viene battezzato diversamente a seconda delle circostanze: «connubio» all'epoca di Cavour, «trasformazione dei partiti» all'epoca di Depretis, «patto Gentiloni» durante l'era giolittiana, «governo nazionale» durante il primo fascismo, «conciliazione» alla fine degli Anni 20, «Cln» nel primo dopoguerra, «centrosinistra» all'inizio degli Anni 60, «compromesso storico» nel 1973, «convergenze parallele» e «solidarietà nazionale» nel 1976, «partito trasversale» negli Anni 80. Ma la varietà del lessico nasconde una realtà immutabile. In politica come in economia gli italiani non amano la concorrenza e preferiscono accordarsi per la spartizione del mercato. I blocchi politici da cui l'Italia è stata governata dopo l'Unità sono l'equivalente dei cartelli industriali, bancari, assicurativi e professionali da cui è stata governata nello stesso periodo l'economia italiana. Il confronto tra il '43 e il '93 suggerisce un'altra constatazione. Non esiste un'opposizione organizzata che si batte contro il blocco, ne indebolisce le dife- se, ne conquista le posizioni ed è pronta a raccoglierne l'eredità. Esistono tutt'al più frange eversive, dissenzienti impotenti, isolate Cassandre e qualche esule, in patria o fuori. Non esiste opposizione perché il trasformismo italiano, nel frattempo, ha masticato, ruminato e digerito chiunque avesse voglia di spartirsi un po' di potere. I blocchi, quindi, muoiono ge¬ neralmente crollando su se stessi sotto il peso degli errori, dei debiti e di un trauma che raccorda improvvisamente tutti i vizi latenti del sistema sino a farne una bomba a orologeria. Così accadde al blocco liberaldemocratico nel 1922, così accadde al fascismo nel '43, così accade ora al regime democristiano e alla, democrazia consociativa che hanno governato l'I¬ talia negli ultimi 45 anni. La «rivoluzione» avviene generalmente in due tempi. Nel primo tempo gli esponenti più intelligenti del blocco si accorgono che occorre cambiare e finiscono con l'accelerarne la crisi. Suppongo che Segni non vorrà essere paragonato a Grandi e che Martelli, Benvenuto, Martinazzoli non gradiranno d'essere paragonati a Ciano, Bottai, Federzoni. Ma i «traghettatori» d'oggi rischiano di fare la stessa fine di quelli di ieri: preparare una transizione di cui altri, in ultima analisi, finiranno con l'approfittare. Il risultato di questa pseudorivoluzione è sotto i nostri occhi. Ora come nel 1943 manca un leader dell'opposizione a cui trasferire il potere e occorre generalmente ricorrere al «meglio del vec- chio»: qualche tecnico, qualche uomo politico che aveva manifestato per tempo il suo dissenso, qualche personalità indipendente. Dopo il crollo del fascismo fu relativamente facile: erano ancora vivi Orlando, Nitti, Bonomi, Croce, Einaudi, Corbino, Soleri, De Gasperi, Sturzo e la generazione democratica o comunista degli Anni 20. Oggi il recupero del passato è più difficile. Vi è un vuoto intorno al blocco morente che occorre riempire per il momento con le facce pulite dell'Ancien Regime. La causa della morte, generalmente, è una guerra. Il blocco liberal-democratico vinse quella del 1915, ma a un costo troppo alto per la fragilità economica e sociale del Paese. Il fascismo perdette quella del 1940 e pagò il prezzo della sconfitta abbandonando un potere che sarebbe durato altri vent'anni. La democrazia consociativa, dal canto suo, ha perduto una guerra invisibile: quella che le maggiori democrazie europee hanno combattuto negli ultimi vent'anni per la loro modernizzazione e integrazione. Mentre Kohl faceva della Germania la terza potenza economica del mondo, Thatcher restituiva alla City un ruolo imperiale, Mitterrand decentrava lo Stato napoleonico, Gonzàlez modernizzava la Spagna e Delors preparava l'avvento del mercato unico, i partiti italiani consumavano voracemente le risorse del Paese per il solo scopo di restare al potere. La notte del Gran Consiglio è durata due anni, dal referendum del giugno 1991 a quelli dell'aprile 1993, ma a parte questo vi è una sola differenza, a nostro vantaggio: Ciampi è meglio di Badoglio. Sergio Romano // crollo improvviso, fuggi-fuggi di gregari, suicidi, mancanza di alternative: la storia di allora ci aiuta a capire quel che accade oggi due (mi allo specchio Benito Mussolini non temeva una rivolta dei gerarchi: «Sono tutta gente che vale poco. Non hanno né coraggio, né intelligenza, né fede»

Luoghi citati: Germania, Italia, Spagna