Rifondazione riparie dai 7 saggi di Maria Grazia Bruzzone

Rifondazione riparie dai 7 saggi Bocciato il documento di Castellina-Magri che respingeva le dimissioni di Garavini Rifondazione riparie dai 7 saggi Libertini liquida la minoranza: è il vecchio expdup LA RISSA A SINISTRA ROMA. Hanno detronizzato Garavini ma alla fine hanno avuto paura di stravincere. E Rifondazione, dopo il successo elettorale, a sei mesi dal congresso si ritrova in mano ai sette del comitato operativo nazionale. Senza un segretario, senza un coordinatore, senza un portavoce, dopo che Ersilia Salvato ha rinunciato a un ruolo che avrebbe sancito la spaccatura del partito anche nella forma, oltre che nella sostanza. Di qua la maggioranza dei Cossutta e dei Libertini, di là la minoranza dei Magri, Castellina e dell'ex segretario, acefali, per ora, eppure ancora insieme, dopo un comitato politico infuocato e confuso durato tutta la giornata di ieri. «Hanno dimissionato il segretario. Ma da direttore di Liberazione mi dovranno cacciare loro. Non credo che questa maggioranza sia in grado di gestire il partito. Non sono solo i numeri che contano», commentava amareggiata Luciana Castellina andandosene, dopo che il dibattito sembrava prendere una piega ancora peggiore. Il suo ordine del giorno, firmato da 14 membri della direzione che chiedeva di far rientrare le dimissioni del segretario dimissionario, era stato bocciato già in mattinata con 103 voti contro 59, più 12 astensioni. Quei 14 firmatari erano gli stessi (meno Garavini) che tre settimane fa, nel primo confron¬ to duro su Garavini segretario, lo avevano sostenuto pareggiando con i «nemici». La risposta dei «vecchi» era arrivata di lì a poco quando, sabato scorso, era stato messo ai voti un documento che accusava il segretario di «disorientare la base del partito creando fratture». E Garavini, uomo per bene ma di pessimo carattere, si era prontamente dimesso. Ieri i 14 speravano di ricucire lo strappo. Proponendo di respingere le dimissioni del se¬ gretario con un voto chiaro che avrebbe riconosciuto «l'errore politico» di quel primo documento. E assumendo tutti insieme l'impegno di realizzare, nel prossimo congresso, un profondo rinnovamento del gruppo dirigente nazionale. «E' essenziale discutere quale tipo di alternativa costruire, aprirci a un dibattito con tutte le forze della sinistra», spiegava Castellina. «Il vecchio ex pdup - li definiva liquidatorio e tagliente come al solito Lucio Libertini -, espressione di un'area pregressa e minoritaria». Finendo per sottolineare le divergenze profonde che da sempre esistono fra i due gruppi, gli uni provenienti dall'ala estrema e già filosovietica dell'ex partito comunista, gli altri approdati a Rifondazione dopo un percorso diverso che li avvicinava piuttosto al gruppo degli ingraiani. Ed era stato proprio subito dopo l'uscita di Ingrao dal pds, non a caso, che la latente divisione era venuta a galla. «La realtà è che Garavini non può mantenere la carica di segretario dopo aver apertamente dichiarato di voler andare al congresso all'attacco, con un piede dentro e uno fuori dal partito», spiegava alla fine Libertini fuori dai denti, pur dichiarandosi a favore di una gestione unitaria del partito. La sua proposta era quella di far gestire la fase precongressuale al comitato operativo composto da lui stesso e da Lucio Magri, come capogruppo di Senato e Camera, il presidente Cossutta, più Cappelloni, Ersilia Salvato e Serri, fino a ieri coordinatore. E proprio su Serri, o meglio sul coordinatore, si poneva il problema. Libertini e Cossutta vorrebbero sostituirlo, lui vicino al segretario, con la Salvato. Ma la minoranza fa muro, e Serri pensa di abbandonare il comitato, già privato di Garavini, men¬ tre da Reggio Emilia arriva la notizia di una possibile disdetta della gran festa nazionale del partito di agosto «che era stata pensata come momento unitario di tutto il partito», sottolinea un comunicato della federazione reggina. E' così che la maggioranza decide di non stravincere. Salvato si tira indietro. E ci si ferma al comitato operativo, senza «capo». E Garavini? E' sereno, malgrado tutto. Dice: «Alla fine l'unico atto definitivo sono le mie dimissioni. Ma i problemi sul tappeto restano aperti: l'unità della sinistra, il costo del lavoro, l'appuntamento del 9 luglio sulla convenzione per l'alternativa e il confronto col pds. E il carattere del partito: un partito chiuso, che comunica solo in modo formale, che non accetta di mettere in lista altro che i1 suo gruppo dirigente, resta un problema». Maria Grazia Bruzzone Sergio Garavini ormai «ex» segretario di Rifondazione comunista

Luoghi citati: Reggio Emilia, Roma