Guardie d'onore e silenzio di Giuseppe Zaccaria

Un padre «Tra due giorni nessuno parlerà più di loro» Guardie d'onore e silenzio // ritorno dei caduti di Mogadiscio "1 L'ULTIMO ADDIO ROMA IECCOVI a casa, poveri eroi. Nessuno voleva pensare che sareste tornati così, avvolti dallo zinco e dal tricolore, calati nel silenzio surreale di un aeroporto deserto, pesanti sulla coscienza di un'Italia che ancora fatica a capire. Sembravate invulnerabili, sulla sorte che vi aveva assistito fino a ieri l'altro in Somalia già cominciavano a fiorire leggende: italiani fortunati, italiani generosi, italiani amati, sempre e comunque brava gente. Adesso non siete solo le vittime di guerra di un Paese già in guerra contro se stesso, ma anche il simbolo di un risveglio crudele: il meccanismo di rimozione s'è inceppato, s'incrina la retorica dell'intervento umanitario. Siete la morta dimostrazione del fatto che senza averlo voluto ci troviamo coinvolti in guerra che si svolge a migliaia di chilometri dai nostri confini. E che in qualche modo bisognerà prenderne atto. La guardia d'onore è schierata proprio di fronte alla fila delle telecamere. Nella Roma desolata di questo primo sabato di luglio, sotto la cappa umida che sembra dare alla notte estenuati sentori africani, intorno a Carlo Azeglio Ciampi, il presidente del Consiglio, ai soldati, a un gruppetto di ragazzi in jeans (parenti del tenente Millevoi), c'è una falange di «spot» e obiettivi. Potrebbe testimoniare commozione, ma invece risulta impressionante. Anche a dicembre, ricordate?, era cominciata così, con Uno sbarco dei cameramen a precedere lo sbarco dei marines che avrebbero sbarcato gli aiuti per una Somalia così «televisiva» nelle sue immagini di devastazione. Su questa pista spazzata dalle eliche del «C 130» che scarica le vostre bare, fra giornalisti e operatori anche adesso ci sono i lazzaroni della compagnia di giro che vi aveva seguiti nella «missione di pace», solo che l'abitudine al cinismo pare scomparsa perfino fra di loro. Ciampi tace. Tacciono i generali, mentre con schiocchi metallici le bare vengono sganciate dai loro supporti. Tenente Andrea Millevoi, presente. Sergente maggiore Stefano Paolicchi, presente. Caporalmaggiore Pasquale Baccaro, presente. Vi avevano salutati così, a Mogadiscio, mentre il ventre dell'aereo si chiudeva sulle vostre bare: dodici ore dopo, quanta retorica in meno in quest'accoglienza romana. Tre squilli di tromba, tre furgoni scuri che si allontanano lenti. Tutto qui. Il fatto è che i vostri corpi cominciano a rivelarsi incredibilmente pesanti. Lo stesso Paese che appena due settimane fa si scandalizzava per le foto di somali catturati e incappucciati, adesso insorge, chiede maggiore sicurezza per i suoi soldati, in qualche caso propone il ritiro del contingente. Lo spazio di luce che al centro della pista buia adesso accoglie i vostri corpi è come l'occhio calmo di un ciclone che comincia a muoversi tutt'attorno per investire l'intera concezione delle nostre «missioni umanitarie». Parlano tutti, protestano tutti: tranne i vostri familiari. Qualcuno, al massimo, reclama un po' d'attenzione in più: «Dopo la prima comunicazione nessuno si è fatto più vivo da ieri...». Elvio Millevoi, il padre del tenente ucciso, mantiene anche adesso nel volto quell'espressione allucinata che sembra fissare le labbra in una specie di sorriso. «Per sapere quando sarebbe giunto il corpo di mio figlio ho dovuto attaccarmi per ore a un numero di telefono sempre occupato...». Può succedere anche questo, in un'Italia che le vostre morti hanno colpito alla testa e al cuore. Succede che il dramma cominci a scomporsi in una serie infinita di espressioni e frasi, in una teoria del dolore lunga tanti quanti sono i parenti delle vittime. Sapete, poveri eroi per forza: prima del vostro aereo a Ciampino ne era giunto un altro, un velocissimo «Falcon 50». Portava indietro tre dei nostri feriti, quelli trasportabili: il tenente Alessandro Scano, il caporale Massimo Zaniolo ed il caporalmaggiore Pasquale La Rocca. Il più grave è quest'ultimo: a causa di una scheggia, perderà un occhio. E' di vicino Napoli, il caporalmaggiore: e in pieno pomeriggio dinanzi all'ospedale militare del «Celio» si erano viste piombare due auto con targa «Na» da cui è scesa una famiglia intera. Il padre di La Rocca, un muratore, aveva ancora le mani impastate di calce. E una volta lì, la famiglia non si è scalmanata, non ha pianto né chiesto trattamenti preferenziali. E' rimasta docile dinanzi al portone sbarrato, con le donne che piangevano, gli uomini che tentavano di mostrare coraggio, in attesa che fosse possibile una visita, mentre il presidente Ciampi, anche lui, arrivando in auto dinanzi al portone sbarrato era costretto con la scorta ad una vertiginosa marcia indietro prima di infilarsi nell'ospedale dalla porta carraia. Giunto da Lisbona lo stesso Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, si è precipitato oltre quella porta. Sapete, sfortunati volontari di Somalia: durante il vostro interminabile, ultimo volo verso un'Italia che organizza camere ardenti e funerali di Stato, è accaduto che cominciassero a incrociarsi appelli e lamentazioni, propositi di rivincita e proposte di ritirata, orgogliosi appelli ad «andare avanti a viso aperto» dal piazzale El Alamein della caserma Gamerra e accuse dalla Camera a chi «ha costretto i nostri uomini a combattere nel vuoto più assoluto». Tutto questo non vi interessa più, è vero. Lei, caporalmaggiore Baccaro, sappia che a Minervino di Lecce le sarà intitolata una strada. E lei, sergente maggiore Paolicchi: può esserle di qualche consolazione sapere che questa mattina Giusi, la sua fidanzata, la ragazza bionda e minuta che avrebbe dovuto sposare il 24 agosto, sarà a Roma, accanto alla sua bara? Che dice di non credere ancora a quel che è accaduto, che si convincerà solo quando avrà visto come l'hanno ridotta? Rieccovi a casa, poveri eroi d'Africa, le casse coi vostri corpi si fanno sempre più pesanti. La sorte ha finito col racchiudere nelle vostre figure tutto quel che l'ex «missione di pace» italiana in Somalia in effetti contiene. Uno era lì per senso del dovere, l'altro per spirito umanitario, l'altro ancora mettere assieme un po' di soldi. E lei, tenente Andrea Millevoi: se può, non se la prenda. Forse questa volta andrà diversamente. Non creda a suo padre quando, amaro,- prevede: «Fra due giorni, di questi poveri ragazzi nessuno si ricorderà più». Giuseppe Zaccaria Un padre «Tra due giorni nessuno parlerà più di loro» Scalfaro accarezza uno dei feriti In alto, Paolicchi con la fidanzata