Anche i filoamericani dicono no a Clinton

discussione. Dopo l'editoriale di Bobbio, altre voci dall'Italia contro le bombe su Baghdad discussione. Dopo l'editoriale di Bobbio, altre voci dall'Italia contro le bombe su Baghdad Anche i filoamericani dicono no a Clinton 0— ROMA DIOSI». Di più: odiosi e «indegni di una nazione civile, indegnissimi della I più grande potenza del mondo, che è anche una grande democrazia». I bombardamenti su Baghdad, ha scritto ieri Norberto Bobbio sulla Stampa, non hanno dietro di sé alcuna giustificazione. Né politica, che anzi quella pioggia di missili sulla capitale irachena appare come un'azione «irresponsabile» e destinata «ad aumentare lo stato di violenza nel mondo». Né, soprattutto, morale, giacché è sommamente «iniqua» un'azione realizzata con «mezzi non buoni» per giunta al servizio di un «fine discutibile» come è quello addotto dall'amministrazione Clinton a giustificazione dell'improvviso e imprevisto attacco notturno al cuore della città di Saddam Hussein. A due anni e mezzo dalla guerra del Golfo, l'abbattersi dei Tomahawk su Baghdad ha riacceso una controversia che sembrava chiusa con l'immagine dei laceri e smunti soldati di Saddam che agitavano i loro approssimativi drappi bianchi in segno di resa di fronte all'avanzata irresistibile della coalizione anti-Saddam. Con molte differenze, da allora. Tra le quali, sintomatica, la posizione di Bobbio, uno dei protagonisti del dibattito sulla «guerra giusta» che appassionò e divise la coscienza internazionale chiamata a giudicare le ragioni dell'operazione Desert Storm. Bobbio, nel 1991 schierato con tormento dalla parte dell'Orni, sostiene oggi che non c'è argomento adatto a giustificare la sortita di Clinton. Ciò che rende ancor più penosa la «quasi unanime adesione, che non si può giudicare se non vile e servile, dei governi occidentali» al blitz americano. O forse, suggerisce Bobbio, un argomento ci sarebbe: «Che il fine reale, non quello dichiarato Osteall'in«Il Pdi ri pubblicamente, sarebbe la riconquista da parte di Clinton della popolarità perduta». Ma se ciò fosse vero «l'azione non sarebbe soltanto discutibile ma addirittura malvagia». Perciò, conclude ironicamente Bobbio, «io stento a credere» a questa voce che pure si è diffusa in America come in Europa. «E questo è l'unico punto su cui sono in disaccordo con Bobbio», commenta Piero Ostellino, commentatore non sospetto di indi- nazioni pregiudizialmente antiamericane che all'indomani dell'azione americana in Iraq ha commentato negativamente il blitz a Radio Vaticana. «Credo infatti», spiega Ostellino, «che la ragione che ha indotto Clinton a quell'azione sia stata quella di riguadagnare una popolarità giunta oramai a un punto critico, di ricompattare una nazione americana fortemente divisa che generalmente ritrova un'unità in questo tipo di azioni internazionali». «Tutto ciò appare gravido di implicazioni molto pericolose», commenta Ostellino. Che non fa mistero dunque della sua profonda contrarietà alle scelte americane. Proprio lui che non ha esitato a schierarsi con le forze Onu nel conflitto con Saddam e che non ha mai tentennato di fronte alla scelta filo-atlantica dei governi occidentali. Come mai? «E' successo che la fine del bipolarismo ha reso la situazione mondiale più frammentata», risponde Ostellino: «Non c'è più un confine solo, non si è più costretti a stare sempre e comunque dalla parte dell'America e ora si possono giudicare le scelte in modo più pragmatico, volta per volta». Stefano Silvestri, presidente dell'Istituto affari internazionali, tra i pacifisti è considerato un «falco» dello schieramento filoatlantico. Stavolta anche lui non appare granché entusiasta del blitz clintoniano ma non al punto di «condividere l'indignazione di Bobbio. Quello degli Stati Uniti non è stato infatti un gesto di arroganza politica ma il sintomo di una profonda, inquietante debolezza». Spiega Silvestri: «C'è un problema evidente, reso an¬ goscioso dal caso dell'ex Jugoslavia, di preoccupante usura della credibilità della comunità internazionale. Il tanto decantato "nuovo ordine internazionale" stenta a trovare un profilo riconoscibile, reso forte da una politica coerente, capace di prevenire e neutralizzare i disordini che periodicamente mettono in pericolo il quadro mondiale». Da qui nasce, spiega Silvestri, «la necessità sempre pressante di dare dei segnali che certifichino la sopravvivenza di una comunità internaziona- ri r le capace di infliggere // «JCtlsanzioni. E questo porta a manovre a singhiozzo, ulteriormente Sebolaeei Smpeniao yankpsicologico, già molto »■ . presente agli inizi deiia ai inqpresidenza Clinton, na- «Non ta con tutt'altre prospettive e invece costretta a gestire una situazione incandescente suo malgrado. Ma fino a quando le cose possono continuare così? E' possibile, è ragionevole prolungare all'infinito questo stillicidio, un bombardamento di Baghdad ogni tre, quattro mesi senza uno scopo preciso?». Affiorano dubbi, si diffondono ^quietudini, si accendono inter- rogativi anche nello schieramento più leale con gli Stati Uniti. Il segno di un'epoca finita con la disintegrazione di uno dei blocchi su cui si è incardinato l'ordine intemazionale del dopoguerra. «La posizione di Bobbio», commenta lo storico Luciano Canfora, già a suo tempo contrario all'intervento anti-Saddam, «dimostra a tutti che è ora di infrangere lo schematismo della contrapposizione aprioristica. E' una regola che ovviamente deve valere per tutti: bisogna rompere il regime della doppia verità che in passato ha indotto da una parte e dall'altra i dubbiosi a non esprimere in pubblico i propri dubbi per non "favorire" l'avversario». Forse un'epoca si è davvero chiusa per sempre. E chiedersi «a chi giova?» non ha più senso nel giudicare i fatti del mondo. Pierluigi Battista Ostellino, nel VI favorevole all'intervento nel Golfo: «Il Presidente cerca di ritornare in auge» ri r i r>«» // «JCtlCO» Silvestri'. yankee, ma un sintomo »■ . . . .111 ai inquietante debolezza» «Non un gesto di arroganza | Lo storico Luciano Canfora, ancora contrario all'intervento anti-Saddam Piero Ostellino: «Un'azione decisa da Clinton per riguadagnare popolarità» Sopra, Stefano Silvestri presidente dell'Istituto affari intemazionali