Risorgono i presidenzialisti di Fabio Martini
La «svolta» del leader referendario trova numerosi consensi La «svolta» del leader referendario trova numerosi consensi Risorgono i presideniialisti Segni: elezione diretta delpremier ROMA. «Sua santità Segni è finalmente d'accordo, sua santità La Malfa aveva già dato la sua benedizione, ora forse anche sua eminenza Scalfari dirà sì al presidenzialismo...». C'è sarcasmo nelle parole di Francesco D'Onofrio, cossighiano fino al midollo, c'è l'ironia di chi sospetta lo scavalco, ma certo l'improvvisa svolta di Mariotto Segni a favore dell'elezione diretta del capo del governo ha rimesso le ali ai presidenzialisti, da qualche tempo acquattati in un cantuccio in attesa di tempi propizi. Sono passate poche ore dal discorso-svolta di Segni alla Camera e le retrovie dell'armata presidenzialista si sono rimesse in movimento, improvvisamente galvanizzate dalla buona novella: ieri mattina Segni ha studiato una strategia d'attacco con il segretario repubblicano Bogi, con i liberali Zanone e Battistuzzi; Peppino Calderisi, uno degli scudieri di Pannella, proclamava in Transatlantico: «L'elezione diretta del premier? Sono anni che ne parliamo, è ora di passare all'azione». Il democristiano D'Onofrio rilanciava il vessillo presidenzialista all'assemblea degli «autoconvocati delle 7», gli onorevoli che non appena sentono qualcosa che può allungare la vita alla legislatura si scuotono dal loro torpore. Persino il neoleader del psdi Enrico Ferri, annusato il cambio di clima, si è allineato: «La prossima tappa? Elezione diretta del premier». Per non parlare dei presiden- zialisti incalliti come il missino Gianfranco Fini, che fiutata l'aria già da qualche settimana si è riconvertito: «Se non sarà possibile l'elezione diretta del capo dello Stato, siamo disponibili ad una battaglia per l'elezione popolare del premier». E come premio alla lunga nùlitanza, proprio ieri Fini è stato invitato per lunedì a Milano, Italia a un dibattito con Segni sul tema, guarda caso, della democrazia diretta. Già da qualche tempo, in realtà, il presidenzialismo non era più un tema tabù, da guelfi e ghibellini, i buoni da una parte, i cattivi dall'altra. Dopo l'abbandono di Craxi, il tema presidenzialista era diventato un gran pentolone che bolliva a fuoco lento. Ma intanto il partito del Presidente, sia pure nella versione-premier, è diventato sempre più trasversale, sempre più forte. Via via, in ordine sparso, si sono schierati Leoluca Orlando e Francesco Cossiga, Marco Pannella e Gianfranco Fini, Ugo Intini e Giorgio La Malfa, Remo Gaspari e Giorgio Bogi, per non parlare degli antesignani, il leghista Gianfranco Miglio e il pidiessino Augusto Barbera. Ma tre giorni fa dietro le quinte si è consumata la svolta. Segni si è confidato con i suoi amici, con il suo consigliere, il politologo bolognese Arturo Parisi: «Dalla Camera sta uscendo una legge che non garantirà la governabilità e il rischio è che un domani possano accusare proprio noi». Di qui l'idea di Segni: «Perché non rilanciare il progetto delle Acli per l'elezione diretta del capo dell'esecutivo? Prima o poi ci si arriverà, tanto vale metterci il cappello sopra...». E così, due giorni fa, secondo lo schema-Parisi che prevede sortite programmate e periodiche («Lanciare un messaggio alla volta, sia per i media, che per scremare i nemici»), Segni ha detto alla Camera che senza elezione diretta del premier la legge è zoppa. E così, con lo spostamento di Segni (che la prossima settimana presenterà un disegno di legge ad hoc), dall'altra parte della barricata ormai restano in tre: Mino Martinazzoli, Achille Cicchetto e Armando Cossutta. E Umberto Bossi, con un dubbio dentro: se si mette mano alia Costituzione, le agognate elezioni quando si potranno fare? Per ora il pds non si muove, ma due anni fa, in un famoso discorso ai giovani del pds, Occhetto fece un'apertura e l'altro ieri, parlando alla Camera, uno spiraglio l'ha lasciato anche D'Alema: «Una discussione seria sull'elezione popolare del capo del governo» comporta «una seria correzione» della legge appena approvata dalla Camera. Ma D'Onofrio infila il suo ago: «La verità è che il pds recalcitra perché non ha un leader da lanciare nella grande sfida a due». Fabio Martini Il leader referendario Mario Segni «convertito» all'elezione diretta del capo del governo Il pidiessino Augusto Barbera
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