Com'era smera la mia costa

La parabola italiana del discendente di Maometto che, oberato da 1200 miliardi di debiti, vuole andarsene La parabola italiana del discendente di Maometto che, oberato da 1200 miliardi di debiti, vuole andarsene IflllllI Com'era smera fd f h giovane ìamiacosta w t| AGA sperduto lo sguardo ■ / delle avanguardie di mi rammenda brianzoli e di ■ signore del generane tira! I te a lucido, scesi a riaprire gli appartamenti da otto milioni al metro quadrato. Vaga nel porto, dove latita l'enorme sagoma bruna della nave principesca, vaga sulla collina, alla ricerca di un segno di vita dietro le finestre della «Cerbiatta». Sarà più la stessa la Costa Smeralda senza Karim Aga Khan, businessman sacro, bon vivant discreto, discendente del Profeta e quarantanovesimo Imam dei musulmani sciiti ismailiti? Forse anche lui diventerà leggenda, tra i pontili di Porto Cervo e le propaggini delle ville in stile arabo-mediterraneo, proprio come lo divenne a Parigi Sultan Mohammed Shah, suo nonno e suo predecessore, immortalato in un celebre libro da Tom Antongini, segretario e biografo di D'Annunzio, come «il re incontrastato di un'epoca beata quale fu la Belle Epoque». Sì, perché Karim Aga Khan sta forse per dare l'addio alla provincia italiana del suo impero che, oberata da 1200 miliardi di debiti, è stata presa in pegno dalle banche creditrici, compresa la Ciga Immobiliare Sardegna, società titolare delle attività e dei terreni in Costa Smeralda. Come per i Ferruzzi, tutto è adesso in via Filodrammatici, nelle mani sapienti di Enrico Cuccia. Il Principe, noblesse oblige, l'ha presa signorilmente, ma non ha saputo nascondere qualche lieve accento d'amarezza. Interrogato dal Wall Street Journal, ha minimizzato, ha detto che lui ha poco tempo per l'Italia, che le «priorità nella sua vita» son sempre state altre e soprattutto il Terzo Mondo e il suo ruolo di capo spirituale degli sciiti ismailiti, quindici milioni di fedeli sparsi dall'India al Canada, dal Pakistan al Kenya, dall'Iran alla Cina e all'ex impero sovietico. Una volta, nel suo castello di Aiglemont, casa e bottega in un bosco di ontani di duecento acri a Nord di Parigi punteggiato da stalle-modello di purosangue, chiedemmo semplicemente a Karim di spiegarci chi fossero gli sciiti ismailiti. Ne ricavammo un'interminabile conferenza in perfetto italiano, che cercheremo di riassumervi fedelmente, con le sue parole: «Alla morte di Maometto c'era da stabilire il futuro dell'impero islamico. La maggioranza dei musulmani riteneva che il Profeta avesse lasciato libertà d'interpretazione della fede e della sua pratica. Altri ribattevano che il Profeta aveva designato Hazrat Ali come guida per l'interpretazione della fede. E Hazrat Ali fu nominato Imam. Ma la direzione dello Stato fu presa da un capo secolare, un Califfo che non era l'Imam. Si succedettero tre capi secolari, ma poi il quarto fu proprio Hazrat Ali, capo secolare dei sunniti, ma anche capo religioso, cioè Imam, per gli sciiti. Così le due interpretazioni si unificarono. Ma poi nacquero altre divisioni: quando l'Imam aveva cinque o sei figli, a chi andava la successione? Oggi la particolarità degli sciiti ismailiti è costituita dal fatto che essi hanno un Imam vivente. Quell'Imam sono io». Dedito all'alcol Gli opponemmo, sulla base delle scarse nozioni apprese dalla Storia dell'Islamismo dalle origini all'inizio dell'Impero Ottomano di Claude Cahen, che gli ismailiti non sono che sciiti dissidenti, i quali negano che Ismail, quinto discendente di Ali, sia stato diseredato perché dedito all'alcol. Ma la, partita fu impari nel sostenere la nostra modesta tesi, perché il Principe ha fatto studi islamici a Rosay, conosce il Corano a menadito e prega in arabo. Lui avrebbe voluto proseguire gli studi al Mit di Boston, ma il nonno, che già l'aveva designato suo successore, pretese che andasse a Harvard, dove l'educazione è meno specialistica. Perché proprio Karim e non suo padre? Lo spiegò lo stesso Sultan Mohammed Shah nel suo testamento, con queste parole: «Per le trasformazioni radicali del mondo, sono convinto che, nell'interesse della comunità, il mio successore debba essere un uomo giovane adatto ai tempi nuovi». Proprio lui, che era stato Imam per ben settantadue anni, dagli otto agli ottantanni d'età. Sultan Mohammed Shah di certo non usurpò la fama accreditatagli da Tom Antongini. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, lui che aveva una seconda moglie torinese, Teresa Magliano, voleva vendere le sue mitiche scuderie allo Stato italiano. Galeazzo Ciano era favorevole, ma Mussolini in persona disse di no. E lui commentò: «Un vero uomo di Stato non perde certe occasioni. Mussolini non andrà lontano». Il business per gli sciiti ismailiti fa parte della religione, tanto che in molti Paesi in cui vivono costituiscono una sorta di aristocrazia dei commerci e degli affari. «Il Profeta - ci spiegò comprensivo il Principe - prima della sua missione è stato un uomo d'affari. Aveva anche il titolo di Amin, che vuol dire uomo onesto, uomo retto. Non ha mai fatto distinzione tra pratica della fede e vita di ogni giorno. Al contrario, la pratica della fede guida la vita di ogni giorno, perché fede e vita materiale sono strettamente connesse». Nel 1957, harvardiano appena ventenne, Karim eredita il titolo di quarto Aga Khan e di quarantanovesimo Imam, un titolo che salta suo padre, ambasciatore del Pakistan all'Onu e marito in seconde nozze di Rita Hayworth. E di lì a poco inventa la Costa Smeralda, il grande business della sua vita, se non per dimensioni, certo per passione profusa, a dispetto di quanto egli confida oggi amaramente al Wall Street Journal, descrivendo gli affari che ha in tutto il mondo e i problemi dei milioni di anime affidate alle sue cure. Sentite come andò, perché la storia è quasi inedita e, nonostante qualche pizzico di retorica, mai stucchevole. Si decolonizza in quegli anni l'Africa orientale e il giovane Principe harvardiano, che non riceve più In una colazione d'affari con i dirigenti della Banca S.J. Warburg, coinvolta nell'operazione editoriale, Duncan Miller, consigliere della Banca, parla di una sua recente visita in Sardegna come sovrintendente di un programma della Banca Mondiale. Mostra le foto, esalta il mare cristallino, fa un'elegia pastorale, descrive il paradiso in terra e propone di costituire un gruppo d'amici per acquistare terreni e costruire ville per uso personale. Molti accettano e, tra questi, Patrick Guiness, fratellastro di Karim, e Lord Crowther, proprietario dell'Economist. Anche Karim mette 25 mila dollari e diventa proprietario, con altre undici persone, di un'area di alcune decine di ettari. Decide di andare a ispezionare per la prima volta la sua proprietà nel dicembre del 1958. Sentite il suo racconto, perché sembra la saga dei pionieri nel Far West: «Dopo una disagevole traversata con il traghetto da Civitavecchia, arrivai per la prima volta a Olbia. Alloggiai in un ancor più disagevole albergo, che si trovava proprio nei pressi della linea ferroviaria, all'entrata del porto commerciale. Così, alle quattro del mattino, fui svegliato dal movimento dei vagoni in manovra. Partii in jeep e dopo quattro ore arrivai ad Abbiadori. Di qui, a piedi, proseguii verso Capriccioli. Faceva freddo, pioveva e c'era vento. Arrivato a Capriccioli mi fu impossibile identificare i terreni che avevo acquistato. Non c'era una sorgente d'acqua potabile, non esisteva un telefono nel giro di chilometri. Ci volevano otto ore per andare e tornare da Olbia. Mi pentii amaramente di aver investito qui 25 mila dollari, che all'epoca rappresentavano una cifra rilevante, equivalente al costo di dieci anni di studio ad Harvard». Ma il Principe era un pioniere acculturato. Gli venne in mente Honoré de Balzac, che, su consiglio di amici incoscienti, aveva investito in Sardegna, nelle miniere dell'Argentiera, i suoi sudati risparmi. Non che le sue condizioni finanziarie fossero precarie come quelle di Balzac, tutt'altro, ma gli bruciava, in omaggio al culto per gli affari del suo popolo, che l'investimento finisse tristemente. Così ci riprovò nell'estate del 1959: «Partimmo con un piccolo Chris Craft di dodici metri dalla Costa Az¬ zurra. Appena lasciato il porto fummo investiti dal mare grosso, con un maestrale forza nove. Dopo alcune decine di ore di difficile navigazione di giorno e di notte e dopo aver attraversato le Bocche di Bonifacio battute dal maestrale, approdammo finalmente nella Baia di Porto Cervo, che ci apparve come un paradiso di tranquillità. L'indomani il vento diminuì e il giorno successivo la Costa Smeralda si presentò nel suo costume estivo: un sole caldo, un mare incredibilmente trasparente e luccicante, spiagge bianche probàbilmente mai calpestate per secoli». Se volete, una specie di cartolina per «Costa Smeralda Magazine», l'house organ del Principe in Sardegna. Ma con qualche indubitabile tratto di sincerità: «Il mio coinvolgimento con la Sardegna - ci disse una volta Karim, guardando dalla vetrata della sua villa arabo-mediterranea quel prototipo del turismo di lusso che lui stesso aveva creato dal deserto - non fu amore a prima vista. E' stata sì una relazione passionale, ma fortemente perseguita». Nelle mani di Cuccia Con la Sardegna Karim ha avuto una storia tormentata, ha sempre pensato che i sardi non lo capissero, che le amministrazioni locali - e non aveva tutti i torti volessero taglieggiarlo, che i sardi stessi hanno massacrato le loro coste e hanno invece ostacolato lui, che ha inventato una nuova e pregevole architettura mediterranea. Il resto dell'Italia, poi, con i grandi alberghi storici di Venezia, Roma, Firenze, gli ha regalato 1200 miliardi di debiti e l'ha messo nelle mani di Cuccia, come quella sciagurata famiglia di Ravenna che vendeva le granaglie. Proprio lui, il quarantanovesimo Imam degli sciiti ismailiti, così versati negli affari. Chissà se i cummenda bossiani e le signore tirate a lucido di abbronzante, così vogliosi negli Anni Ottanta di esotismo e mon danità international, lo rive tiranno mai più allo Yacht Club e al Golf con la «sciura» così diafa na e english, o se lui si dedicherà anima e corpo agli ospedali in Pakistan piuttosto che al Tagikistan e comunque ai suoi quindici milioni di anime musulmane. Per sempre. Alberto Staterà IflllllPI a oo o ai lAl de la ni, iget ri ofila orioca pe iù gzone in cui dimorano comunità di suoi fedeli. Tra le testate coinvolte nel nuovo progettato consorzio c'è il Sunday Times e il suo proprietario Lord Thomson. Karim, del resto, ha sangue inglese, sua madre era Joan Churston, discendente di Enrico IV. A fianco l'Aga Khan. A sinistra Enrico Cuccia «Vidi il paradiso in Sardegna e lo pagai 25 mila dollari» il suo peso in oro dai fedeli come capitava a suo nonno, ma è sempre ricco a palate, vuol fare una catena di giornab africani nelle zone in cui dimorano comunità di suoi fedeli. Tra le testate coinvolte nel nuovo progettato consorzio c'è il Sunday Times e il suo proprietario Lord Thomson. Karim, del resto, ha sangue inglese, sua madre era Joan Churston, discendente di Enrico IV. Selima e l'Aga Khan Karim il giorno delle nozze A destra: panorama su Porto Cervo. Il Principe degli Ismailiti si è sempre lamentato dei sardi: «Hanno cercato di taglieggiarmi» A fianco l'Aga Khan. A sinistra Enrico Cuccia giovane