Parliamone di Gaetano Scardocchia

Parliamone Parliamone NON SOGNATE KENNEDY STUDIATE I FEDERALISTI ù e e UANDO era ambasciatore del presidente Carter a Roma, Richard Gardner veniva colto dallo scoramento ogni volta che entrava in una libreria. Vedeva scaffali carichi di tutta la letteratura insurrezionale dell'ultimo secolo: Lenin, Mao Tsetung, Ho Chi Minh, il generale Giap, Che Guevara. E mai che gli capitasse sotto gli occhi un testo del pensiero politico americano. Cercò a lungo una copia del Federalista, la raccolta di saggi costituzionali di Alexander Hamilton, James Madison e John Jay. Introvabile. Se Gardner tornasse oggi in Italia, si renderebbe conto che le cose sono cambiate. Non farebbe fatica a procurarsi i testi dei Padri Fondatori (alcuni dei quali, sia detto per inciso, sono oggi più attuali che mai: per esempio gli scritti sul federalismo ed i verbali della Convention di Filadelfia) e verrebbe sopraffatto da un abbondante offerta di volumi dedicati ai Kennedy ed a Clinton. Le biografie del neo-presidente democratico («il nuovo Kennedy») sono state compilate con tale fulminante sollecitudine che gli autori non hanno fatto in tempo ad essere sfiorati dal dubbio circa le sue presunte virtù taumaturgiche. Non deve sorprendere se questi autori sono spesso giornalisti o politici di sinistra. Privi ormai delle antiche bussole ideologiche (Marx & Company), alleggeriti dal carico di letture della generazione precedente (Lukàcs, Lacan, un po' di scuola di Francoforte), delusi da una socialdemocrazia che è stata ripudiata perfino in Svezia, timorosi di affondare in un opaco pragmatismo da provincia padana, questi orfani di tutto si sono aggrappati all'America come ad una ciambella di salvataggio. Ma a quale America? Non certo a quella di Jefferson e di Madison. Ma ad un'America magica ed immaginaria, evocata come lo scenario sul quale proiettare le proprie fantasticherie: un paese mitico e mistico dove un senso di martirio accompagna la storia, e l'eroe che oggi muore a Dallas o a Los Angeles domani risorge misteriosamente a Little Rock, in un alone di sogni e di fiaccole che passano da una generazione all'altra. Nutriamo la massima ammirazione per Walter Veltroni, che ha raccolto i discorsi di Robert Kennedy. Veltroni è un politico intelligente e giustamente ambizioso. Crediamo nella sincerità delle sue passioni. Ma proprio questo è il punto: l'America kennediana non è esportabile come pensiero, ma soltanto come emozione. Perché Robert Kennedy non era un pensatore e neppure un grande oratore. Era un uomo d'azione. Instancabile, impetuoso, combattivo. E tutti i suoi discorsi valgono meno dell'aneddoto che racconta Pierre Salinger di quella volta che uscirono dal Senato dopo diciotto ore di lavoro e, nel buio della notte, videro che la finestra dell'ufficio di Jimmy Hoffa, il grande nemico, era illuminata. «Se lui sta ancora lavorando, anche noi dobbiamo lavorare», disse Bob Kennedy. Ed i due rientrarono subito in ufficio. Sia chiaro che dall'America i politici italiani possono imparare molte cose. Purché, dopo essersene innamorati, abbiano la pazienza di studiare i congegni del suo sistema politico e le basi culturali sulle quali poggiano, compresi i classici che il povero Gardner non riusciva a trovare nelle librerie romane. Ogni tanto i sogni si spezzano, ma la Costituzione resiste da oltre 200 anni perché fu concepita non da eroi, bensì da assennati realisti i quali «non credevano nell'uomo, ma credevano nel potere delle buone leggi di tenere l'uomo sot to controllo». Gaetano Scardocchia