Gli scambi commerciali chiedono nuove garanzie

Gli scambi commerciali chiedono nuove garanzie POLÌTICA & FRONTIERE Gli scambi commerciali chiedono nuove garanzie NEGLI ultimi tempi, il dibattito tra libero scambio e protezionismo sembra aver ripreso vigore, anche se in modo diverso dal passato. Negli Stati Uniti, alcuni parlano della necessità di un «managed trade», ossia di una gestione dei flussi commerciali. Altri parlano di «commercio orientato a risultati quantificabili». Gli Stati Uniti chiedono ad esempio che il surplus commerciale giapponese, stimato oggi al 3,5% dell'economia di quel Paese, diminuisca fino all'1,5% nei prossimi quattro anni, mentre le importazioni giapponesi dagli Usa dovrebbero aumentare del 33%. Laura Tyson, capo degli economisti della Casa Bianca, parla della necessità di un «cauto attivismo» dell'amministrazione nel commercio e nella politica industriale. ■ In Europa, «Le Monde» del 15 giugno lancia una nuova espressione: «Ripensare il libero scambio», mentre il primo ministro Balladur parla della necessità di un «liberalismo temperato e equilibrato» tra libertà degli scambi e solidarietà sociale. Il presidente Mitterrand ricorda che la Comunità è stata costruita intorno alla preferenza comunitaria, ossia alla tariffa doganale comune, e «Le Monde» sostiene che «il libero scambio non può applicarsi integralmente che tra Paesi vicini che agiscono con le stesse regole del gioco». Infine, non sono rari gli economisti e i politici che affermano la morte del Gatt o la sua imminente fine. Questo dibattito sulla libertà degli scambi avviene in un momento particolarmente importante della vita internazionale, quando l'ansia del nuovo appare abbracciare quasi ogni aspetto della nostra vita. Due sono le ragioni che rendono questo dibattito particolarmente importante. La prima, è che il protezionismo commerciale è legato nel ricordo storico agli Anni Trenta e al suo tragico sviluppo verso il nazionalismo economico e politico. La seconda, è che dopo la fine della guerra fredda non vi sono più nel comportamento degli Stati gli stessi freni che limitavano la portata delle dispute commerciali in nome dei superiori interessi di sicurezza. Molti sono i cambiamenti dell'economia internazionale degli anni del dopoguerra, I quando fu creato il Gatt. L'ecoI nomia internazionale non è più unipolare e la crescita della Comunità Europea e del Giappone hanno ridimensionato il peso degli Stati Uniti. Il grado di liberalizzazione e quindi di interdipendenza nell'economia mondiale è molto elevato. Ma principalmente la creazione e l'estensione di vaste aree regionali, in particolare della Comunità Europea nella sua prospettiva di diventare anche una zona di libero scambio dalle coste atlantiche a Vladivostok, così come della creazione della Nafta, la zona di libero scambio che copre Stati Uniti, Canada e domani anche il Messico e destinata ad estendersi in America Latina, e degli ancora non precisi disegni di regionalismi asiatici, hanno certamente minato, con il loro carattere preferenziale, il fondamento del Gatt, ossia la clausola della nazione più favorita. La geo-economia del mondo è cambiata e continua a cambiare. E' quindi opportuno pensare ad una nuova dimensione della politica commerciale. Questo richiede di superare il dilemma tradizionale tra protezionismo e libero scambio. Non è realistico tornare indietro, siamo già andati troppo avanti. Ma non è nemmeno realistico pretendere di eliminare senza alcuna garanzia tutte le protezioni in un mondo in cui la nozione di mercato trova le più disparate applicazioni. Ecco perché appare indispensabile «gestire la liberalizzazione», com'è stato fatto nel settore dell'auto con la creazione di un periodo transitorio prima della prevista liberalizzazione nel 2000. La liberalizzazione degli scambi accelera i processi interni di ristrutturazione industriale. Bisogna esser consapevoli che questi processi sono molto più difficili da realizzare quando la crescita è bassa e la disoccupazione alta. Ma non dobbiamo perdere di vista, in particolare in Italia, che limitazioni ai necessari processi di ristrutturazione industriale incidono sulla competitività dei Paesi e quindi sulla loro occupazione, così come misure che rendono più costoso il salario ostacolano la creazione di nuovi posti di lavoro e favoriscono la delocalizzazione degli investimenti. E' questo anche il messaggio che ci giunge in questi giorni dalla Comunità Europea. Renato Ruggiero ìr° I

Persone citate: Balladur, Gatt, Laura Tyson, Mitterrand, Renato Ruggiero