Il guerriero del palcoscenico

Sulle piazze con Arlecchino che il duca di Mantova volle controllore di «cantimbanchi zaratani e postiggiatori» Dai Turchi ai comici: così un Medici fondò tra '500 e '600 la prima compagnia teatrale Il guerriero del palcoscenico In scena rigore militare e castità per le attrici ATTORI mercanti corsari - la Commedia dell'Arte in Europa tra Cinque e Seicento di Siro Ferro I ne, or ora uscito nei Saggi Einaudi, è uno di quei libri esasperanti perché pieni di gustosissime note che si è continuamente tentati di andare a cercare interrompendo la lettura. Gronda, anche, di documenti spesso eloquenti sulle traversie dei comici italiani durante un'epoca cruciale che va dagli anni 1580 al 1630, data dalla quale si fa iniziare, col sacco di Mantova, l'inizio di un lungo periodo di depressione economica e culturale per la maggior parte del nostro Paese. Nel periodo in questione i grandi attori nomadi, forti di una reputazione che valicava i confini dei singoli Stati e che li rendeva assai bene accetti anche all'estero, particolarmente in Francia, tentarono in qualche caso di conciliare i singoli narcisismi per organizzarsi in formazioni più compatte, allo stesso tempo istituzionalizzando e delimitando le tradizionali libertà individuali (i lazzi, ossia le improvvisazioni con cui ciascuno specialista arricchiva il canovaccio che si recitava), donde una fioritura di testi dati alle stampe. Ferrone scrive con eleganza, conosce profondamente la sua materia e la ama, ed è sempre attraente nel dettaglio; lettori meno specializzati di coloro ai quali si rivolge possono d'altro canto avvertire la mancanza di un disegno architettonico un po' più netto e, come dicono gli inglesi, fra tanti alberi rischiano di non accorgersi del bosco. A ogni modo dalle numerosissime testimonianze citate emergono alcune carriere esemplari, di attori che riprendendo una distinzione fortunata Ferrone distingue in corsari e pirati. Fra i primi sono compresi coloro che, muniti di un appoggio prestigioso, o magari addirittura di una carica semipubblica (come il primo Arlecchino, Tristano Martinelli, che il duca di Mantova elesse in quella città a controllore di tutti «li comici mercenarii, zaratani, cantimbanco, bagattiglieri, postiggiatori, et che mettono banchi per vender ogli, balotte, saponeti, historie et cose simili», dandogli così la possibilità di commettere soprusi di cui altri puntual- x mente si la- AlUO UfìU Cmentarono), poterono contare su autorevoli salvacondotti anche quando si spostavano. Ostinati e spesso sfortunati esponenti del passato, quando l'istrione non aveva fissa dimora, furono invece quelli che Ferrone chiama pirati, cani sciolti senza terre al sole (a differenza di Arlecchino-Martinelli, che possedeva a Bigarello un mulino) e spesso nei guai con la giustizia, come Frittellino, al secolo Pier Maria Cecchini, sempre il primo a essere eliminato dalle torte più ricche., Com'è cambiata poco, in fondo, l'Italia del teatro! Anche allora non esisteva un cen- ebbe una vcome il suGiovanni tro come Londra, Parigi o Vienna, dove una compagnia potesse stabilirsi e prosperare, ma bisognava organizzare delle tournées con buon anticipo. Oggi i giochi si fanno l'estate, quando si formano i gruppi e comincia la ricerca delle piazze; allora il periodo della pianificazione era la quaresima, quando i teatri erano chiusi. Oggi gli stabili o le compagnie principali hanno tutti una base in una data città, dove i loro spettacoli nascono e dalla quale poi si allontanano per il resto della stagione, in un complicato percorso fondato sugli scambi; allora per avere una analoga forza contrattuale i comici dovevano risiedere almeno temporaneamente presso un signore, di cui indossavano la livrea. Il capitolo per me più affascinante di questo volume, che consiglio di centellinare, contiene il ritratto di un singolare personaggio di aristocratico dilettante di teatro e geniale rinnovatore del medesimo, nel quale è irresistibile indicare un antecedente di Luchino Visconti. Visconti è stato spesso paragonato, per temperamento, autorevolezza e ragioni dinastiche, a un condottiero rinascimentale. Giovanni de' Medici (1567-1621), figlio naturale di Cosimo I poi riconosciuto, fu un condottiero sul serio, quasi un epigono del suo avo Giovanni dalle Bande Nere, e combatte con onore per terra e per mare, segnalandosi contro i Turchi al servizio dell'Imperatore. Fu anche un appassionato di musica, architettura (per il progetto di una cappella si mise in concorrenza addirittura col Buontalenti), alchimia; amò la bella vita e a Parigi si distinse per la naturalezza con cui sperperava grandi somme. Innamoratosi di una borghese sposata e cortigiana di mestiere, fece annullare il di lei vincolo e per poterla frequentare apertamente se la portò a Venezia, dove assunse incarichi militari per la Repubblica, e dove si fece anche impresario teatrale, organizzando la prima vera grande compagnia di tipo moderno. Una gran copia di lettere generosamente citate da Ferrone consentono di se¬ cchino va volle mbanchi tori» guire le tappe di questa impresa, in cui il Medici si fece rappresentare da Flaminio Scala, vecchio comico che aveva quasi abbandonato la professione per quella di profumiere a Rialto. Attraverso di lui furono reclutati molti dei migliori esponenti del mestiere, con l'occhio alla migliore distribuzione dei ruoli, e la troupe, chiamata dei Confidenti, fu organizzata con rigore militaresco. Il Medici, che-in guerra non si era fatto scrupolo di impiccare chi non obbediva ai suoi ordini, volle anche qui un ferreo rispetto della disciplina, imponendo fra l'altro la castità a femmine che fino a quel momento non si erano fatte scrupolo di arrotondare la paga esercitando il meretricio. Sentite con che energia scrisse al suo maggiordomo e portavoce Baroncelli a proposito della genitrice della comica Celia, che voleva diffidata dal continuare a fare da mezzana per la figlia: «Reitiri Vostra Signoria l'offizio con la madraccia della Celia et, ancora che ella sia petulantissima et impertinente, mortifichila Vostra Signoria con le parole, perché se non s'humilia decentemente et reverentemente, per Dio, per Dio, che se io ho a metter le mani a' fatti, ancorché donna, gli farò mortificare le rene, le spalle, perché a simile sua pari, che arruffianano pubblicamente le figlie, ci va la frusta et la scopa de directo, et forse, non mi bastando questo, gli farò segnare il viso in croce, perché il diavolo si contenti dell'anima et lasci il corpo ai cani». Sapeva, il Medici, che molti attori sono come bambini, da guidare a bacchetta; in ogni caso grazie a lui i Confidenti prosperarono, e quando la sua morte prematura li lasciò orfani dopo un decennio di successi, prima di sbandarsi come inevitabilmente poi avvenne respinsero addirittura in un primo momento l'offerta di patrocinio del duca di Mantova, per «far conoscere al mondo», come dichiararono, «che lo essere stati protetti da l'eccellentissimo signor don Giovanni ci ha insegnato come riverire ancora le sue ossa, per rispetto delle quali piacendo a Dio, e questo et altri anni ci conserveremo uniti». Masoiino d'Amico Un eroe inflessibile geniale come Luchino Visconti x , , AlUO UfìU COrtlMmO,. ebbe una vita avventurosa come il suo antenato Giovanni dalle Bande Nere Sulle piazze con Arlecchino che il duca di Mantova volle controllore di «cantimbanchi zaratani e postiggiatori» Luchino Visconti è stato spesso paragonato per temperamento, autorevolezza e nobili origini a un condottiero rinascimentale