Duemila anni d'aborti in un museo
UN PRETE CONTRO I CANNONI GERMANIA A Dresda la prima raccolta di documenti e di strumenti chirurgici Duemila unni d'aborti in un museo Quando si usavano 100 capocchie di fiammiferi BONN NOSTRO SERVIZIO La storia dell'aborto entra per la prima volta in un museo. A Dresda, il Museo tedesco d'Igiene presenta in questi giorni la più completa raccolta di oggetti, documenti e testimonianze attinenti ad un tema vecchio quanto la civiltà. Il problema rimane lo stesso, quello delle donne e delle gravidanze non volute, ma le soluzioni e le leggi cambiano nel corso dei secoli. Gli antichi romani per esempio, non consideravano l'aborto un atto riprovevole o condannabile per se stesso. La donna veniva punita solo quando agiva per conto proprio, senza avere ottenuto il permesso del futuro padre. Il primo codice tedesco in materia di aborto, risale al 1532 con Carlo V e prevede la pena di morte per chi abortisce un «bambino vivo», cioè un feto di circa quattro o cinque mesi. La Chiesa cattolica invece in quello stesso periodo storico stabiliva l'«infusio animae» alla 40a giornata dal concepimento, se il feto era un maschio, all'80a se era una femmina. A Dresda sono raccolti anche i metodi utilizzati dalle donne. Metodi spesso disperati, che non di rado portavano alla morte. Fino al secolo scorso si utilizzavano quasi esclusivamente sostanze da ingerire. Alcune velenose come arsenico, chinino o cianuro, altre innocue come timo, prezzemolo, rosmarino o zafferano. Un volume tedesco del XVI secolo enumera 55 piante che hanno la proprietà di provocare un aborto. Agli inizi del nostro secolo invece le donne fabbricavano un veleno casalingo con le capocchie al fosforo di cento fiammiferi. Gli interventi vaginali sono relativamente recenti, ma altrettanto pericolosi. Nella rac¬ colta storica di Dresda oltre a cateteri e cucchiai appaiono ferri da calza e perfino pompe da bicicletta, che testimoniano la lunga storia degli aborti clandestini. Ai tempi di Weimar per esempio, l'aborto era proibito, ma la miseria economica era talmente grande che molte donne rischiavano comunque: in quegli anni in Germania morivano 50 mila donne all'anno per le conseguenze di un aborto. Il nazismo raggiunse il massimo della perversione, vietando o obbligando l'aborto a seconda della razza del feto. Ci furono condanne a morte per le donne che avevano distratto il «patrimonio genetico tedesco», mentre il ministro della Sanità del Beich emanava una circolare agli ospedali di fare abortire «anche contro )a volontà della donna» contro i fratti di «rapporti vergognosi per la razza». Francesca Predazzi
Persone citate: Carlo V, Francesca Predazzi
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