Sos dalla nave-radio

Sos dalla neve-radio Sos dalla neve-radio «Zittiti da Belgrado L'Italia deve aiutarci» Mima non parla più. Le hanno tolto la voce che gridava messaggi di pace in tutta la Jugoslavia in guerra. Alla fine ha vinto il più forte, Capitan Uncino si è preso l'Isola che non c'è. Il vecchio battello oceanografico diventato stazione radio, che vagava al largo della Bosnia, è stato zittito. Con Mima tacciono i suoi compagni, giornalisti serbi, croati, musulmani, che a bordo del Droit de Parole trasmettevano notizie a miliziani e profughi. Era la radio Londra della guerra jugoslava. Uncino li ha giocati, ha manovrato in modo che i pirati sembrassero loro. «Sono clandestini, illegali, usurpatori di frequenze», hanno protestato Serbia e Montenegro. La nave-radio si è ritrovata senza bandiera e senza voce. E ora morirà, se il governo italiano non le cede il tricolore. Mima e i suoi sono tornati in porto, a Bari. Fino a ieri erano persi in mezzo all'Adriatico; unica compagnia, delfini curiosi e contrabbandieri discretissimi. Cento giorni senza notizie di genitori e figli rimasti dall'altra parte del mare, con l'orecchio ai messaggi dalla Bosnia e la bocca al microfono. Eppure a bordo si toccava un'atmosfera d'euforia. Forse era l'orgoglio di avere, nella tragedia, una parte da buoni. Tra un notiziario e l'altro, Darko, il dj biondo, metteva su rock e folk, sollevava il morale all'equipaggio e a chissà quanti altri giovani da Zagabria a Polgarica. Geneviève, il medico, saliva ridendo la scaletta dall'infermeria alla sala di registrazione. Mima, poi, sorrideva con gli occhi di chi ne ha viste tante. Giornalista alla tv bosniaca, assediata dai serbi a Sarajevo, presa in ostaggio, fuggita con una carovana di donne e bambine. Il campo profughi in Croazia, poi via ancora, di nascosto, in Italia. Il lavoro nero, le umiliazioni, il riscatto. Il primo giorno nel porto deve essere apparso senza luce a quel drappello imbavagliato. Facce scure, lunghi silenzi. «Vogliamo solo continuare il nostro lavoro - dice Sacha Mlac, musulmano di madre slovena, reduce da Sarajevo -. La verità deve pure arrivare nella nostra terra». In una guerra combattuta anche a colpi di carta, di disinformazione, di propaganda, la radio Droit de Parole aveva un molo importante. Regola base: dare soltanto le notizie confermate da tutti i fronti in lotta. Sei corrispondenti dalle capitali dell'ex Jugoslavia e contatti con giornali e agenzie di stampa di tutto il mondo garantivano oggettività e pluralismo.- «Tutto finito per colpa della burocrazia intemazionale», si arrabbia Pierre Vialle, che da terra guidava l'operazione. E di Belgrado, naturalmente. Che non gradiva l'attenzione con cui si ascoltava la piccola radio Londra. Racconta Vialle: «La federazione jugoslava si è appellata alla Conferenza mondiale per le frequenze. Ci accusava di violare il diritto trasmettendo da acque intemazionali, di rubare le frequenze a radio Montenegro. Il governo di Saint Vincent, l'isola dei Caraibi che ci aveva permesso di battere la sua bandiera, ce l'ha ritirata. Senza non possiamo navigare. E eccoci qui, a Bari, in silenzio». La Droit de Parole ha l'appoggio della Cee e dell'Unesco, ma di nessun Paese sovrano. Ora chiede aiuto all'Italia. «Ho ascoltato le dichiarazioni di Fabbri e Andreatta - dice Vialle -. Entrambi sostengono che un'informazione oggettiva può contribuire a fermare la guerra. Vorrei che i vostri ministri fossero coerenti. Che ci consentissero di tornare in mare con la bandiera italiana, e di riprendere a trasmettere notizie, musica, messaggi di pace». La Farnesina per il momento tace. Come Mima, come la Droit de Parole. Dall'altra parte dell'Adriatico qualcuno aspetta con la radio accesa. AldoCazzullo

Persone citate: Andreatta, Capitan, Fabbri, Sacha Mlac