Arte in festa dopo gli scandali

Riapre la Galleria civica dopo 12 anni di furti, muffe e polemiche. Unico problema: manca il direttore Riapre la Galleria civica dopo 12 anni di furti, muffe e polemiche. Unico problema: manca il direttore Arte in festa dopo gli scandali Così Torino dice basta all'effimero TORINO N disagio lungo dodici anni, ma adesso è finita: martedì 7 luglio riapre la Galleria civica d'arte moderna e contemporanea. Finalmente. Una scossa festosa per Torino, un regalo che il caso offre al nuovo sindaco Castellani: il 7 luglio sarà il vero rito cultural-mondano per il suo insediamento. E una novità, un segnale che può scorrere lungo tutto il Paese. Che odissea, che vergogna, a guardare indietro. Un progetto ambizioso qua e là sbagliato, appalti tirati via e ridotti all'osso, mancanza o quasi di manutenzione hanno cospirato al disastro. Inaugurata nel '59, la Galleria affronta quasi subito un calvario fino alla chiusura nell'81 in un caos di polemiche, vetri rotti e muffe. Piove dai lucernari di plastica, perdono acqua le serpentine del riscaldamento nei pavimenti, i fili elettrici nei pilastri stanno gomito a gomito con gli scarichi, si sgretolano i mosaici all'esterno e gli infissi alle finestre lanciano spifferi e spruzzi piovani. L'illuminazione è critica e la sicurezza è un colabrodo: nell'82 rubano un Picasso, un De Chirico e altri sei capolavori. Tempi bui. E scandalo chiama scandalo: si parla di opere ottenute in prestito da assessori vogliosi di abbellirsi gli uffici, si scopre che il Museo sperimentale langue in cantina, si comprano persino quadri falsi. Ma ora bando alle malinconie. La Galleria è tutta nuova: «Rivoltata come un guanto - proclama la conservatrice Rosanna Maggio Serra -. Chi ha in mente la vecchia Galleria non la riconosce più». Lo si spera bene. La Maggio Serra è qui dal '74, sempre entusiasta e disciplinata: «Il suo è un caso. La burocrazia, con lei, si è sostituita a un'amministrazione che non ha amministrato», la elogia il pittore Giorgio Griffa. Si cammina sul tek, la luce è artificiale, i faretti sono inseriti in bassi soffitti a larghe griglie. Risplendono nuovamente la biblioteca (80 mila volumi), la fototeca (più di 60 mila negativi), l'archivio storico, la sala per le mostre temporanee. Gli spazi inediti riguardano la sala didattica (per conferenze, proiezioni, laboratori per le scuole), la Piccola Galleria (per mostre di approfondimento), il deposito visitabile del Museo sperimentale. Non manca il conforto di un bar-tavola fredda e non manca un moderno bookshop. Soprattutto c'è più spazio per l'esposizione permanente: adesso sono disponibili 4100 metri quadrati contro i 2600 di prima, e le opere esposte sono 1200 con¬ tro le 700 di prima. Il patrimonio complessivo è di 5000 dipinti, 400 sculture e «tonnellate dì grafica», come dice la Maggio Serra. Che aggiunge: «Ho passato due anni a selezionare le opere. Nei 12 anni di chiusura non siamo stati con le mani in mano. Abbiamo restaurato 1260 opere e rimesso le cornici a più di 600 quadri: le tolsero nel '59 per appoggiare le tele nude sulle "arpe", quinte di cavetti metallici». Durante la latitanza la Galleria si è molto arricchita. Grazie soprattutto alla nascita della Fondazione De Fornaris, che proprio oggi presenta a Torino il catalogo delle ultime acquisizioni. In poco più di un decennio ha messo insieme circa 1000 opere; e di queste, 200 sono esposte, ben un sesto di quanto è mostrato al visitatore. Bisogna insistere sull'eccezionalità di questa Fondazione nel panorama italiano. Essa inaugura un rapporto organico e intelligente fra pubblico e privato. Ogni anno la Fondazione dispone delle rendite che derivano dal patrimonio di Ettore De Fornaris, scomparso nel '78, e ac¬ quista opere d'arte per la Galleria. Personaggio inquieto, De Fornaris, artista egli stesso. Diceva che l'arte ha il dono di «apportare uno stato di euforia e di estasi». Proprio lui, che viveva in un isolamento tenace, pensò «all'educazióne artistica della collettività». Raccolse venti tele di Delleani e tre di Fontanesi, principi dei paesaggisti piemontesi carissimi a Roberto Longhi, e dipinti di Casorati, Morandi, Rosai e di tanti altri. La Fondazione ha di recente acquisito la collezione Rossini coi suoi De Pisis e Sironi, la collezione Einaudi con quadri di Capogrossi, Vedova, Paolini, e moltissime opere dei maggiori artisti di questo secolo. La nuova Galleria comincia dall'alto, dal secondo piano, con l'800. «Forse per l'800 la Galleria è torinocentrica, ma per il '900 è davvero nazionale e internazionale», dice la responsabile Maggio Serra. Federico Zeri conferma u giudizio: «E' meno provinciale di quella di Roma». I due volumi del catalogo Fabbri sono inviati in questi giorni agli studiosi. Come vive Torino la sua Galleria ritrovata? Il problema è il direttore, che manca da una ventina d'anni. «Sono una Cassandra confessa Ezio Gribaudo, artista ed editore -, Ho paura che ricomincino i giochi, che chiamino un Celant o un Bonito Oliva. Mi auguro invece che i quadri non si guardino più con le orecchie, attente ai brusii di moda. Auspico un ritorno all'ordine, sinonimo di valori veri. E in direzione siano coinvolti gli artisti». Si candida lei alla direzione? «Potrei essere ancora utile. Sono stato il Cristoforo Colombo torinese andando a scoprire realtà internazionali: feci venire la collezione Guggenheim, ho organizzato nel '78 la mostra di Dubuffet. Ma questa città di ghisa e acciaiosa mi trova scomodo». L'editore d'arte Umberto Allemandi prima è perplesso: «Perché investire tanti soldi nella vecchia sede? La Galleria è già piena. Con tante grandi aree ex industriali che ci sono...». Poi è malizioso: «Siamo sicuri che il Comune non ha tardato apposta a riaprire la Galleria? Ha creato un vuoto che ha cercato lui di riempire». Infine cede alla speranza: «Un museo crea una struttura costante di riferimento. Questo è l'aspetto più importante. Gli assessori comunali ci sono e non ci sono: durano poco, cambiano. Torino adesso può rientrare nel circuito internazionale delle grandi esposizioni». E' il punto decisivo. La riapertura della Galleria si inserisce in un movimento già in atto nel Paese, verso una possibile inversione di rotta per la politica (o non politica) culturale seguita da molte amministrazioni locali da diversi anni. Si applaude al ritorno dei «fondamentali», delle istituzioni durature. Basta con l'effimero e con l'improvvisazione. Dal museo-forum, fiera e spettacolo, al museo-istituzione aperta. Gli assessori puntavano a un tornaconto elettorale immediato, non si impegnavano in iniziative di lungo respiro perché temevano che a raccoglierne i benefici fossero i successori: questa è l'accusa che risuona da più parti. «Da Torino giunge un invito ad altre città, a Milano come a Bologna, perché finalmente competano nell'arte - è la convinzione di Flaminio Gualdoni, critico, docente a Brera e direttore della Galleria civica di Modena -. Si riscopre il valore di un museo come identità di un luogo. Se Torino si muove, non ha concorrenti: torna ai fasti di un passato recente». E' una nostalgia diffusa e attiva, che si proietta in avanti. Si evocano le ombre degli ormai mitici direttori' della Galleria: i Viale, i Malie, i Passoni. Si ricorda il critico Luigi Carluccio, il fa¬ scino di mostre celebri come le muse inquietanti (del '67), allestite dalla Galleria insieme con gli Amici torinesi dell'arte contemporanea. Marella Agnelli, presidente dell'associazione, dice che sì, è la sua speranza: «C'è tanta voglia di ricominciare. Torino è molto aperta al nuovo artistico per antica tradizione». E' già pronta l'idea di una prima mostra? «Sono napoletana e superstiziosa: non dico nulla. Le proposte però ci sono». Claudio Alta rocca 500 dipinti e 1500 metri quadri in più Zeri: per il'900 è meno provinciale di quella romana La Galleria torinese. Sotto, «Fanciulla con libro» di Casorati. À destra, la conservatrice Rosanna Maggio Serra. Sopra, «Orsolina» di Paulucci