«Indro, ecco i tuoi eredi» di Andrea Barbato

«Indro, ecco i tuoi eredi» il caso. Un saggio polemico sui grandi opinionisti da Albertini a Montanelli «Indro, ecco i tuoi eredi» Sferzata al salotto di Pannunzio "TnIHI sono i nuovi veri opi| 1 nionisti della cultura libeI rale, o liberal-democrati- I i ca, gli credi di un filone I che da Luigi Albertini, il direttore che fece del Corriere della Sera il più autorevole organo della classe dirigente italiana, arriva fino a Indro Montanelli, straordinario esempio di un rapporto di fiducia tra giornalista e lettori che ancor oggi non è venuto meno? Barbara Spinelli, attualmente inviato della Stampa in Europa, ed Ernesto Galli della Loggia, collaboratore e polemista del Corriere della Sera. E' lo storico della cultura Mario Isnenghi - autore di libri sugli intellettuali fascisti, sul mito nazionalista della grande guerra, su Giovanni Papini -, a estrarre i due nomi dal cilindro di un suo saggio, Il grande opinionista da Albertini a Bocca, che sta per approdare nelle librerie nelle edizioni del Mulino. II saggio è compreso in un volume miscellaneo di cinquecento pagine sulla cultura italiana, dalla crisi dello Stato liberale fino ai nostri giorni: Fare gli italiani (a cura degli storici Simonetta Soldani e Gabriele Turi). Si tratta di un'analisi dei processi attraverso i quali si è formata nel nostro Paese una coscienza nazionale. Di tali processi i giornali sono stati, naturalmente, uno strumento chiave. E all'interno dei giornali i direttori e le «firme» che hanno concorso e concorrono a formare l'opinione pubblica, perché il giornalismo italiano, fino a trent'anni fa, «è stato assai più interessato a far politica che a fare informazione». Quella di Isnenghi, che ha insegnato Storia del giornalismo all'Università di Padova per 16 anni, è una bella galoppata fra i grandi nomi della stampa italiana. Si parte da quel 23 maggio del 1900 in cui Albertini, segretario di redazione e direttore ammini- strativo del Corriere della Sera, fece passare, mentre il direttore Domenico Oliva, ex uomo di Sinistra imbarcatosi nella Destra, era in treno fra Roma e Milano, «un articolo contro la linea liberticida del governo Pelloux». Un sapiente decisionismo che valse ad Albertini i galloni di direttore e inaugurò un regno giornalistico durato venticinque anni. Ecco le scene della grande guerra schizzate in reportage che sembrano racconti da Luigi Barzini jr., protagonista del memorabile raid automobilistico Parigi-Pechino. A chi viveva in trincea quei bozzetti suonavano probabilmente falsi, scrive Isnenghi, «ma rimane insostituibile quell'opera di traduzione da un mondo all'altro, che rende visibili e persino spettacolari alcuni tratti della vita di chi è partito a coloro che sono rimasti a casa». Scorrono davanti agli occhi del lettore Alberto Bergamini, inventore della cosiddetta Terza pagina sul Giornale d'Italia, Gabriele d'Annunzio, Benito Mus- solini, Ugo Ojetti con la sua rubrica «Cose viste» sul Corriere della Sera, gli «elzeviristi dell'Impero» che fanno gli inviati al Giro d'Italia (Orio Vergani, Emilio Colombo, Emilio De Martino, Dino Buzzati), Curzio Malaparte, giornalista e fotografo, in visita nel '39 ai domini africani a dorso di mulo, da dove invia servizi «che possiedono doti di sobrietà», fino a un giovane ma promettente inviato, che lo scatenarsi della seconda guerra mondiale sbalza all'estremo Nord dell'Europa. Il suo nome? Indro Montanelli. Nel passaggio dal fascismo al postfascismo la categoria dei giornalisti dà vita, secondo Isnenghi, «a uno dei più scoperti fenomeni di quel trasformismo di cui è pur ricca la storia d'Italia». Pochissimi gli epurati: «Il grosso passa traghettò senza pagare dazio». I quotidiani del dopoguerra sarebbero lo specchio di «una geografia giornalistica in cui non c'è stato quasi ricambio». L'opinionista simbolo di una stampa irrigidita dalla guerra fredda, «che recita a soggetto», è Mario Missiroli, direttore del Corriere dal 1952 al 1961: «La sovrana negligenza delle idee per i fatti» si traduce nell'incipit che caratterizza molti suoi fondi: «I fatti sono noti». «In cauda venenum». Sulla scia della sua analisi, Isnenghi concentra, nell'ultima parte del saggio, la vis polemica e i giudizi spigolosi. Sferza una leggenda, quella del Mondo di Mario Pannunzio. Citando Bocca, ricorda che le inchieste sui guasti del Paese erano uscite prima che altrove sui giornali comunisti: «La leggenda di una categoria quantitativamente ristretta, dove tutti quelli che contano si conoscono e sono rispettivamente figli, generi, allievi affezionati, colleghi, soci. ecc. ha invece eletto il salotto settimanale del Mondo a Palladio del quarto potere a cui "tutti" i giornalisti di razza hanno collabora- to e da cui "tutti" discendono». Denuncia un vuoto, quello di opinionisti di matrice liberale o liberal-democratica. Quanti si dichiarano tali sarebbero nella maggioranza riciclati, di seconda mano: prima l'ondata degli ex fascisti, poi le ondate degli ex comunisti. «Perché mai il liberalismo e la democrazia producono così poco, direttamente e in proprio, e hanno sempre bisogno di vivacchiare sui naufragi di concezioni contrapposte?». La mediocrità ha, ovviamente, le sue eccezioni: da Enzo Biagi, «con la sua inappuntabile professionalità» ad Andrea Barbato, «nuovo Vittorio Gorresio». Ma due personalità emergono sulle altre: per il rapporto con i lettori e per la lezione di coerenza, Indro Montanelli, il grande opinionista della cultura liberale, e per la lucida capacità di remare controcorrente Giorgio Bocca, il vero giornalista liberaldemocratico. I due grandi vecchi hanno prodotto degli eredi? Chi avanza sull'orizzonte dell'opinionismo liberale e liberal-democratico? Ecco entrare in campo Barbara Spinelli, «con il suo durissimo e lucido spirito di rivalsa nei confronti di qualsiasi superstite illusione "di sinistra" antica e nuova», e Galli della Loggia, «che ama cogliere dai più inquietanti fatti della cronaca mondiale l'essenza morale e le implicazioni ideologiche». Isnenghi è un intellettuale di sinistra, collaboratore dell'Unità e del manifesto. Ma come dice alla fine del saggio, non è necessario essere d'accordo per trovare stimolante un'opinione. Dopodiché lancia un messaggio a Montanelli: «Vi saranno certamente dei pretendenti all'interno della redazione, ma la Spinelli appare la più appropriata». Per che cosa? Ma per essere il nuovo direttore. Alberto Papuzzi Omaggio a Bocca Egli alfieri del nuovo giornalismo liberale? Barbara Spinelli e Galli della Loggia A sinistra del disegno, Ernesto Galli della Loggia. A destra Indro Montanelli. Sotto Andrea Barbato. Più in basso Vittorio Gorresio

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