Eravamo tanto DEMOCRISTIANI

La de cambia nome: come chiameremo «quel» tipo umano, «quel» modo di parlare, di vestirsi, di darsi la mano? La de cambia nome: come chiameremo «quel» tipo umano, «quel» modo di parlare, di vestirsi, di darsi la mano? _ Eravamo tanto DEMOCRISTIANI I-fi ROMA " ULTIMO paradosso democristiano. «Nella coni ferenza programmatica Lì spiega il capo della segreteria politica della de Pier Luigi Castagnetti - decideremo se risolvere il problema del nome o se rinviarlo...». L'ultimo paradosso è che la democrazia cristiana si avvia a cambiare nome in modo molto democristiano. Democristiano? Basta, detto tutto. Il termine va assai al di là dell'originario significato «appartenente alla de». Travalica i confini del linguaggio politico. Nel caso dell'onorevole Castagnetti la «democristianità» sembra potersi cogliere in una certa ipotetica indeterminatezza rinforzata da una ulteriore possibilità di rinvio. Qualcosa che investe una speciale concezione del tempo e un supplemento di cautela nelle scelte. Comunque tutti insieme «decideremo»: anche questo collegialissimo «decideremo» è molto democristiano. Decideranno, certo, se morire democristiani. Ma poiché il partitone bianco aderisce perfettamente al carattere nazionale, al punto che perfino «i più fieri oppositori - come ha osservato il politologo Angelo Panebianco non possono non dirsi democristiani», ecco che la morte del fortunatissimo aggettivo sostantivato è questione che interessa tutti. Questione di archetipi, di psicologia collettiva, di visioni annidate nei meandri della memoria e della fantasia. A cominciare dal paesaggio democristiano: centinaia di migliaia di seconde case sul mare, nel Sud. Il segno del benessere e, insieme, la rovina delle coste. Con le autostrade che prendono il nome dai capicorrente e i due tratti (uno per Gaspari e uno per Natali) che in Abruzzo viaggiano paralleli verso il mare, il monumento a qualcosa che ha scavato montagne e messo pietra su pietra là dove un tempo c'era solo il rumore delle onde e oggi si sente, se va bene, «Radio DJ». E ancora sembra incredibile che si possa, per un'impennata di Martinazzoli, non morire democristiani. Tanto più incredibile se si considera che esiste perfino il tipo fisico democristiano. Una rappresentazione all'opposto della sensualità. Il pallore che impressionava Pasolini, la voce sommessa, gli occhiali, le giacche tristi, una spolveratina di forfora sulle spalle, il calzino azzurro al malleolo, la stretta di mano moscia. Il perfido Leo Longanesi descriveva la mano di Andreotti «un po' fredda, un po' umida, tenera come una braciolina di vitello». Ed era un'immagine superba, ma quell'esangue fisicità a suo modo riscattava il vitalismo viriloide del Duce che sciava, volava, tirava di scherma, suonava il violino, faceva le smorfie e ta- gliava il grano a torso nudo. Democristiano. Coglieva brandelli di fulminante, definitiva appartenenza, la parola. Chiedere a Segni, a Orlando, a Cossiga quante volte si sono sentiti dire che sono ancora democristiani. Un'apparenza che si riverberava in tutta ima effusione di gesti: baci e abbracci rigorosamente maschili e perlopiù simbolici. Tipicamente democristiani erano verbi come «concorrere», «accontentare», «dare una mano», «stare a cuore». Massimamente democristiano era non fare la fila, obiettivo per il quale si impegnavano fino allo stremo astuzia e prestigio, come in una commedia all'italiana. Sul democristiano, sulla sua mentalità, le sue debolezze e le sue risorse ha costruito il successo Alberto Sordi. A lui si deve la trasformazione cinematografica dell'italiano in democristiano. Vittima e insieme beneficiario del clientelismo. «Il difetto democristiano - spiegava Sordi - fa ridere di più». Vero. E può anche continuare come una malinconica litania, l'elenco giocoso di ciò che, veramente democristiano, democristiano doc, sembra impossibile che possa morire, finire, dissol- versi. Democristiano, nel reparto accessori, era il borsellone con tracolla del compianto onorevole e ministro Costante Degan, che di fronte al caos della Sanità si appellava alla Divina Provvidenza; democristiani i condoni (fiscali, edilizi); democristiani i buoni-benzina; democristiani i biglietti-omaggio della partita; democristiani i premi che si vedono al cinematografo nei documentari «Sedi» (ma attenzione: devono avere il monsignore in prima fila); democristiana la «velina»; democristiana la trasmissione Biberon (e anche Crème Cammei); democristiana la parolaccia camuffata («cavolo», «cacchiarola»); democristiano il cartoncino Stampa democristiana che permise appunto a un migliaio di democristiani - la stampa nulla c'entrava - di girare allegramente al penultimo congresso democristiano... Ecco, sì, il gran puzzle scudocrociato, frammenti di una parola che evocava una furbizia e un'avidità paradigmatiche. I democristiani a tavola che mangiano, anzi si mangiano tutto. «A giudicare dalle mandibole - aveva subito commentato il liberale Costa alla vista di un teschio ritrovato anni fa durante gli scavi archeologici di vicolo del Valdina, succursale di Montecitorio deve essere stato un democristiano». Alla de si è finito per attri- buire una fame atavica da poema epico: «Di Enea democristiano è giunta l'ora / lui le pecore tosa e poi divora», secondo un epigramma di Gaio Fratini. Ma anche una vocazione pacifica che sconfinava nell'mdifferenza o nella lodatissima pigrizia di alcuni suoi capi. Dei quali, d'altra parte, era spesso difficile, se non impossibile indovinare o classificare le più profonde motivazioni. Cinismo o banalità? Si partiva da Dossetti, per dire, che al castello di Rossena annuncia il suo ritiro dalla politica, e tutti lì compresissimi a discutere e a piangere. E si finiva a Forlani che, quando tutto è finito, sale in macchina e si mette alla ricerca di un certo formaggio che si trova lì, nei pressi. Oppure alla scenetta di De Mita presidente del Consiglio che si è appena giocato il tutto per tutto sul voto segreto. E' emozionatissimo, ha vinto per pochi voti, deve scappare a Mosca, sta uscendo quasi di corsa da Montecitorio. Bene, arriva uno che nessuno conosce, «Scusa Ciri, ti ricordi, sai, quella questione...». E si capisce che è roba minima. No, errore: è minima per un non-dc. Infatti Ciri si ferma, serissimo, caccia dalla tasca un foglio, si appunta tutto. Nel 1978 Clemente Mastella ha accennato tranquillamente alle raccomandazioni per far passare i suoi studenti agli esami. «Vota Sisinni ed entri dappertutto» è stato il manifesto, in Basilicata, di un candidato della de. La sindachessa di Monza ha versato i cinque milioni di una tangente a un istituto di beneficenza. Durante gli Anni 50 e 60, ha ricordato Vittorio Gorresio, con i ministri della Difesa democristiani le reliquie e l'immagine dell'Assunta viaggiavano su navi della Marina. Conciliare l'inconciliabile è sempre stato il più misterioso dei miracoli democristiani. Per tentare di scioglierlo ci si è rotti a lungo la testa con il personalismo cattolico, l'antistatalismo, il familismo rurale, la duttilità e la passività di un partito nel quale, come teorizzava Moro «le cose non si progettano e vengono realizzate, ma semplicemente avvengono per la forza delle cose, per iniziativa spontanea, perché la gente si assesta e si muove da sé». E tuttavia, quando si aveva la sensazione di aver finalmente acchiappato l'essenza della de, quando l'inesprimibile sembrava là, a portata di mano, ecco, arrivava sempre la stranezza, l'anomalia. E una sorprendente, ambigua varietà veniva regolarmente a spezzare l'illusione. La de, si è sempre detto, era l'Italia. Ma adesso viene il sospetto che lo fosse fino a qualche tempo fa. Che prima Pasolini («I miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti de...») e poi Moro - quelle sue terribili maledizioni - avessero intuito la fine. Gli Anni 80 non hanno solo fatto sentire vecchi i democristiani, ma li hanno costretti a rinnovarsi malamente. Filippo Cec carelli In alto, da sinistra, Alcide De Gasperi e Aldo Moro. Nella foto grande, suore si dirigono in fila al seggio elettorale, passando sotto lo scudo crociato. A destra la sede della de in piazza del Gesù a Roma ,...rr.-.-, . —.,, .jr: ■ ■' '—~— -r*-j '^r-^j—f^L,-t* _ Alberto Sordi: «Il difetto de fa rìdere di più» A destra Pier Paolo Pasolini: era impressionato dal «pallore» dei de Sopra il politologo Angelo Panebianco: «Impossibile non dirsi democristiani»

Luoghi citati: Abruzzo, Basilicata, Italia, Monza, Mosca, Roma, Valdina