Dopo i missili su Baghdad l'America torna con Clinton di Paolo Passarini

Ma i sondaggi dicono che la gente voleva un'azione più dura Ma i sondaggi dicono che la gente voleva un'azione più dura Dopo i missili su Baghdad l'America torna con Clinton WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Due americani su tre hanno approvato l'azione punitiva decisa da Bill Clinton contro l'Iraq per il tentativo di assassinare l'expresidente George Bush. Ma, dallo stesso sondaggio effettuato dalla Gallup per il quotidiano «TJsa-Today» e la «Cnn», emerge che più della maggioranza degli intervistati (54 per cento) ritiene che i missili sulla centrale dello spionaggio iracheno condurranno a più, non a meno, azioni terroristiche e il 53% sostiene che occorrerebbe un'azione più decisa: assassinare Saddam Hussein. Queste cifre danno la misura di quello che Clinton ha rivendicato come un «chiaro successo», aggiungendo ieri di aver avuto conferma da un rapporto che il sistema di «intelligence» iracheno è stato paralizzato dai 16 Tomahawk che ne hanno colpito la sede. In altri termini, tutti o quasi si dicono convinti che qualcosa occorreva fare. Molti sembrano pensare che Clinton si sia limitato ad assumere una decisione obbligata nel modo meno efficace e rischioso. Pochi tra gli esperti sembrano davvero ritenere che il sistema di spionaggio di Saddam sia stato davvero «paralizzato». Nessuno sembra convinto, poi, che, a causa dell'attacco subito, Saddam debba patire rilevanti conseguenze interne, né tantomeno cambiare il suo modello di comportamento. A Clinton il Pentagono e i servizi di informazione avevano presentato una lista di opzioni tra le quali scegliere. La lista non è nota, ma certamente prevedeva almeno altre due posssibilità: dirigere i missili su più obiettivi contemporaneamente 0 usare le forze aeree per bombardare obiettivi militari qualificati, magari anche i quartieri della fedelissima Guardia Repubblicana. Quello che è comunque certo è che, tra tutte le opzioni, Clinton ha scelto la più moderata sulla base di una serie di valutazioni. Tra queste: il timore di esporre piloti al fuoco della contraerea irachena; la preoccupazione che troppe perdite civili avrebbero potuto alienargli il sostegno internazionale e, dentro l'Iraq, giocare addirittura a favore del regime; non correre il rischio di provocare una rappresaglia di Saddam, che avrebbe finito per trascinarlo in un'altra grossa grana internazionale. Così, mentre tutti riconoscono che era giusto agire, molti tuttavia si chiedono: ma, in questo modo, a che è servito? Sul «New York Times», l'opinionista conservatore William Safire ha scritto ieri che, in realtà, il messaggio ricevuto da Saddam e da altri non evidenzia 1 rischi di chi intraprenda azioni di terrorismo di Stato contro gli Stati Uniti, ma, piuttosto, «quanto poco si rischia a tentare di ammazzare un Presidente americano o a far saltare una città come New York». L'argomento può fare una certa breccia presso un pubblico terrorizzato per la minaccia di attentati come quello del World Trade Center e quello sventato la settimana scorsa a New York. Perdipiù, si è saputo che, nel decidere l'azione di sabato, Clinton e il suo staff avevano esplicitamente discusso della necessità di mandare un messaggio non solo a Saddam, ma a tutti i Paesi che considerano coinvolti in operazioni di terrorismo di Stato, a cominciare dal Sudan e dall'Iran. Il messaggio potrebbe essere stato troppo debole. Questo spiega perché il sondaggio Gallup segnali che, pur approvandone a stragrande maggioranza l'azione, il 61% degli americani intervistati confessa di non aver affatto cambiato opinione su Clinton, opinione che non è affatto favorevole. Infatti, un altro sondaggio pubblicato dalla rivista «Time» conferma che gli indici di approvazione del presidente con¬ tinuano a rimanere ai minimi storici. Non sembra proprio che l'azione punitiva contro l'Iraq possa fungere da tonificante, anche se, almeno per un aspetto, ha funzionato. Questa volta il segreto ha retto fino alla fine e, quando è arrivata la notizia dell'attacco, tutte le televisioni avevano smontato da tempo le installazioni alla Casa Bianca per il «week end». Paolo Passarini Rabbia e slogan contro gli Stati Uniti nel corteo che ieri ha attraversato Baghdad [FOTO REUTER]