Pianti e abbracci sul palco e pugnali dietro le quinte

Pianti e abbracci sul palco e pugnali dietro le quinte Pianti e abbracci sul palco e pugnali dietro le quinte DIECI MINUTI DI PASSIONE E ROMA adesso veniamo a noi...». Sergio D'Antoni, pallidissimo, tiratissimo in viso, chiude la relazione stampata e pronta da tempo, inforca gli occhiali e legge le tre cartelle preparate domenica scorsa, la risposta alle accuse del costruttore Lodigiani. Il pubblico non aspetta altro. Nella sala si fa silenzio e tutti gli sguardi vengono puntati su di lui. D'Antoni inizia e con un tono pacato, inconsueto per lui, vaavanti per dieci minuti a smontare le rivelazioni dei giorni scorsi. Sono dieci minuti tesi, vibrati, durante i quali spiega che esistono «macroscopiche contraddizioni», annuncia che andrà presto da Di Pietro (forse persino in settimana) e che conclude con la citazione di una frase: «Bob Kennedy diceva: eroi diventano coloro cui viene spezzato un sogno nel pieno del loro sognare». D'Antoni fa una pausa, poi prosegue: «Non voglio diventare un eroe, ma voglio essere un uomo semplice che lotta per le cose in cui crede», annuncia alla platea e si gira di scatto per non mostrare le lacrime. Il discorso è finito. I delegati si alzano in piedi ad applaudire il loro leader. Gli vedono la schiena, ma gli rivolgono lo stesso tutto il loro calore. Chi ha modo di vedere il volto di D'Antoni e anche le lacrime, sono i componenti della segreteria. Tutti in fila, sul palco, ad abbracciarlo. Il primo è Raffaele Morese, il numero 2 della Cisl. Due giorni fa era stato lui a chiedere a D'Antoni di affrettare i tempi dell'incontro con Di Pietro. In mattinata ne avevano di nuovo discusso durante la riunione della segreteria, ma il primo abbraccio non poteva che essere il suo. Subito dopo arrivano gli altri. Ci sono proprio tutti. C'è Carlo Stelluti, segretario milanese. Aveva appena finito di dire: «Forse avrebbe fatto meglio a mettersi da parte. Ora chiede che il congresso si trasformi in un processo popolare. Ma così rischiamo di chiuderci in un bunker». E, invece, nemmeno lui ha voluto mancare all'appello dell'abbraccio. C'è Tom Dealessandri, segretario torinese, che pure aveva commentato: «Grandi applausi, ma la situazione è imbarazzante. Morese ha fatto bene a non sdraiarsi sulla posizione di D'Antoni». Non c'è, invece, Bruno Manghi, che non fa parte della segreteria - è membro del consiglio generale. Lui la sua posizione l'aveva espressa al mattino durante la riunione precongressuale. Manghi, che all'interno della Cisl ha il delicato ruolo di consigliere di D'Antoni, aveva proposto la nomina di una commissione di saggi e il congelamento della nomina del segretario fino al completo chiarimento dei fatti. Ma la proposta non era stata proprio presa in. considerazione. Ora, a pomeriggio inoltrato e con l'annuncio ufficiale che D'Antoni ha rimesso il proprio incarico all'assemblea, rimane fermo in platea ad osservarlo scuotendo la testa: «Spero non sia vero, ma quel verbale è agghiacciante. La malattia c'è, vorremmo che la morte non riguardi tutti». Sul palco, ad abbracciare D'Antoni, non c'è nemmeno Pierre Camiti. Il leader storico della Cisl ha inviato una lettera a D'Antoni. «Non capisco il suo comportamento. Voglio prendere per buona la sua versione, ma qui ne va della credibilità del sindacato. Lui deve metter- si da parte finché non c'è un chiarimento giudiziario della vicenda. E' uno sbaglio ed è uno sbaglio anche quello della segreteria, sia che faccia quadrato intorno a D'Antoni, sia che applichi il metodo maoista di chiedere un giudizio al congresso. Io sono fuori da otto anni, anche allora c'era qualcuno che magari rubava per sé o per la famiglia, ma un accordo per li- mitare la conflittualità sarebbe stato inconcepibile». Parole dure, parole amare, che vanno a colpire dritto al cuore di D'Antoni. Per fortuna, nonostante tutto, la segreteria ha deciso di far quadrato intorno a lui. Luca Borgomeo: «Carniti sbaglia perché se fosse certo che, dimettendosi, la difesa potrebbe risultare più facile, il segretario avrebbe già lasciato il suo incarico. Per la Cisl è però a questo punto necessario replicare con energia e documentazione ad accuse sicuramente infondate». Aldo Smolizza: «Non è il momento di prestare il fianco, di indebolirci». Gianni Italia: «Ne abbiamo parlato questa mattina, siamo con lui». Alle voci interne alla Cisl si aggiungono quelle degli ospiti, quelle del parterre. Un parterre un po' scarno rispetto a quel che erano le attese fino ad una settimana fa. Non ci sono i segretari dei partiti. La de ha mandato il presidente Rosa Russo Jervolino e, al posto del segretario Martinazzoli, è arrivato il suo uomo, Pierluigi Castagnetti. «Nella parte finale del discorso traspare fino in fondo convinzione, dignità ed innocenza. Presente anche il ministro del Lavoro Gino Giugni, che parla di «una difesa bella e convincente. Sulla difesa personale non mi posso pronunciare, a parte i tratti umani che per me sono persuasivi». «Credo a D'Antoni», afferma anche Franco Marini, ex leader della Cisl. E «sono solidale con D'Antoni - sostiene il de Vito Riggio, sottosegretario - sono certo della sua limpidezza morale e politica per la profonda conoscenza personale che ho di lui da venticinque anni». «Inammissibile», per Felice Mortillaro presidente dell'Agens: «Qui si vuole fare confusione, ma è un'accusa senza senso». Ma il congresso ormai si è trasformato in un processo a D'Antoni. E i due partiti prò e contro combatteranno duramente fino a venerdì. Flavia Amabile Attacco via lettera di Camiti «Sergio, devi metterti da parte» A sin.: Trentin e Larizza A sinistra: l'ex leader della Cisl Franco Marini poi ministro del Lavoro

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