Martinazzoli; dc e pds salveranno l'Italia

Martinazzoli; de e pds salveranno l'Italia Lo scudocrociato all'opposizione? «Sarebbe un merito storico, così si realizzerebbe l'alternanza» Martinazzoli; de e pds salveranno l'Italia Secca replica a Bossi: i due partiti garanti dell'unità nazionale SESTO SAN GIOVANNI (Milano). De e pds hanno, insieme, un nuovo compito storico: «farsi garanti» della democrazia italiana, difendere l'unità nazionale. Perché in questa fase di transizione dal vecchio al nuovo, c'è il rischio concreto di una divisione del Paese. E' stato questo il tema centrale dell'intervento con cui Mino Martinazzoli ha concluso ieri a Sesto San Giovanni il congresso provinciale della de di Milano. Secondo il segretario democristiano, per tanti anni in Italia la democrazia è rimasta bloccata perché vi era il rischio del comunismo: «Per noi - ha detto - il compito centrale era quello di governare. Oggi non è più così e anche noi dobbiamo recuperare una compiutezza democratica». Anche la de deve comprendere - ha sostenuto che «non c'è nulla di mediocre nell'andare all'opposizione. Anzi, se realizzassimo una fi¬ siologia dell'alternanza, potremmo rivendicare questo risultato come un merito storico. Perché nessuno prima di noi c'era riuscito». Ma su questa strada ci sono molti ostacoli: di fronte «alle suggestioni leghiste», il rischio è appunto, quello di non approdare a una «compiutezza democratica», andando così incontro a una rottura dell'unità nazionale. E allora devono essere i partiti storici a farsi garanti della democrazia, primi fra tutti de e pds. E' venuto a questo punto 1'«appello» al pds: «Non sarebbe male - ha affermato il segretario de - che in questa transizione, che altri chiamano rivoluzione, si sentisse evocata anche quell'altra forza politica erede di quel patrimonio di moralità che pure il partito comunista italiano ha avuto». Secondo Martinazzoli, cioè, «toccherebbe ai due protagonisti non la consociazione, ma un'idea generosa per gli italiani per un approdo di democrazia contro la divisione dell'unità nazionale. Non mi iscrivo - ha aggiunto - all'esercito dei retori dell'unità nazionale, ma questa questione c'è, almeno fino a quando non avremo convinto gli italiani del perché sono in Italia». Quanto alle polemiche interne al partito, Martinazzoli ha definito la sua decisione di presentare le dimissioni «un gesto doveroso di fronte alla sconfitta elettorale», e ha ribadito che il nuovo nome da dare al partito «è questione rilevante ma non decisiva». «Non è un'operazione di marketing o di volubilità - ha precisato, per placare le polemiche - né dobbiamo vergognarci della nostra storia». «Il nostro vessillo - ha affermato il segretario de - non è lacero, né è simbolo di una sconfitta». Ciò che la de deve cam¬ biare, semmai, è la sigla: «La questione non è inesistente, perché riguarda l'idea di capire come si fa, in un tempo politico nuovo, a caratterizzare la continuità nella tradizione». E, comunque, anche per quanto riguarda la situazione del partito, il problema di fondo è la salvaguardia dell'unità interna: «Io non sono il padrone della de - ha affermato - né lo voglio essere. Ma se c'è ancora qualcuno che crede di essere lui il padrone di singoli pezzi della de, allora è meglio che tolga il disturbo». «Non si può credere - ha aggiunto - che sia utile al partito tenere lì uno come un "re travicello". A me non interessa né stare in prima né stare in ultima fila. A me interessa stare insieme alla de. Nessun segretario, alzandosi al mattino - ha aggiunto - potrebbe non capire che il suo primo problema è quello dell'unità del partito». [Ansa)

Persone citate: Bossi, Martinazzoli, Mino Martinazzoli

Luoghi citati: Italia, Milano, Sesto San Giovanni