La nonnina di Magri maestra di bon ton di Filippo Ceccarelli

r IL PALAZZO La nonnina di Magri maestra di bon ton EGLIO così che peggio» diceva con saggezza la nonna di Magri. «Benché molto anziana, era ancora vitale e combattiva - l'ha voluta ricordare il nipotino, Lucio, capogruppo di Rifondazione, dichiarando il suo voto sull'articolo 1 -. Proprio per questo, di fronte a sopravvenienze preoccupanti, diceva sempre: "Meglio così che peggio"». Una risposta concisa e ammirevole, nella sua dichiarata imperfezione, che si adatta perfettamente a quanto accaduto a Montecitorio durante la discussione sulla nuova, delicatissima legge elettorale. Chissà che effetto avrà fatto alla signora Tanina - così si chiamava - l'onore della citazione in aula e un po' anche l'onere di essere richiamata dall'aldilà in modo quasi familiare, come spirito guida dei deputati. E almeno finora, c'è da dire, la nonna di Magri li ha guidati bene, con rapidità e senso del limite. Ma anche a prescindere da questo genere di tutela, quel che più impressiona, e di cui davvero sfuggono le ragioni profonde, è il clima di serenità e di tolleranza in cui improvvisamente viene a svolgersi un dibattito di tale importanza. Ancora di più se si considera che fin troppe volte l'assemblea si è dimostrata tumultuosa, isterica, anche violenta. Sul serio. Come obbedendo a un misterioso comando, in un'aula sempre meno tenuta d'occhio dai mass media, si riducono al minimo le frasi forti, cessano gli insulti personali, sfumano le affermazioni apodittiche. Il relatore Mattarella esordisce scusandosi di non avere una relazione scritta. Il repubblicano Passigli, che non condivide quasi nulla del testo, modera il linguaggio: «So che Mattarella non ama che si definisca la sua proposta "pasticcio" o "pastrocchio", e non lo farò». Altri sostituiscono «papocchio» con un'immagine nobilmente mitologica, «il centauro». E sarà rassegnazione, paura delle elezioni e inerzia da Tangentopoli, sarà il tecI nicismo della materia, la I scarsa partecipazione, la dissoluzione degli schieramenti, ma a rileggersi attentamente gli stenografici delle sette sedute, prima ancora che dalle varie scelte si rimane fin troppo favorevolmente colpiti - e addirittura, alla lunga, insospettiti - da tutto quel fiorire di «ahimè», «grazie», «prego», «scusi», «lo dico senza astiosa polemica», «mi permetto di osservare». Fra Barbera, Bassanini e De Mita è tutto un reciproco dare e prendere atto. Al posto delle ringhiose invettive, dei gestacci e delle urla, interruzioni esplicative, obiezioni in positivo, appelli alla pazienza, lodi all'ufficio studi che sforna interessanti monografie. Sullo scranno più alto, il presidente Napolitano scruta un'assemblea che per qualche giorno sembra quasi Westminster. Misteri parlamentari. Ed è come se, atterrite dal rude vitalismo della Lega, le vecchie opposizioni si fossero ingentilite. «Nessuno di noi ha la verità in tasca» ammette il rifondatore Fischetti. Il suo compagno Benedetti accenna al «suono piacevole e delicato del campanello». E se il presidente riprende il missino Abbatangelo al telefonino, la risposta è: «Ha ragione, mi scusi». «Amici!» scappa detto a un certo punto a Pannella. Zanone: «Rimprovero me stesso per aver votato contro un mio emendamento». Mammì riconosce la sua vecchiaia politica. E così, dietro alla «quadriglia bipolare», allo «scorporo» o «scomputo», alla «lista bloccata» e al «ripescaggio» si coglie per un attimo il volto umano della legge elettorale. Meglio così, appunto, che peggio. Fino a prova contraria. Filippo Ceccarelli elli |