10 psico-detective ebreo li aiuto a dimenticare i padri

10 psico-detective ebreo 10 psico-detective ebreo 11 aiuto a dimenticare i padri terapia digruppo STEL AVIV ENTI», gli ha detto un vicino di casa, nel quartiere ben ombreggiato della torrida Beersheba, «perché non li lasci a casa loro, con i loro incubi? Forse che noi, i figli dei sopravvissuti, non ne abbiamo già abbastanza dei nostri?». Era appena primavera nel Negev, il deserto dei sogni di Ben Gurion, quando lo psicanalista israeliano Dan Bar Oh cominciò ad andarsene in giro per Israele con uno strano gruppo di una ventina di persone così vicine e così lontane le une dalle altre quanto si può esserlo. Da una parte ebrei, israeliani o americani, figli di sopravvissuti ai campi di sterminio; dall'altra tedeschi, e tedeschi speciali, tutti figli di protagonisti o comunque di autori dei crimini di Auschwitz, torturatori, assassini di bambini. «Il gruppo - racconta Bar On - si è formato l'anno scorso. Si era già incontrato in America. Si sono parlati senza mai smettere per giorni con sollievo, con sofferenza. Si era stabilita fra loro una gerarchia di attenzione a seconda di quanto drammatico era il passato della famiglia di ciascuno». Di certo, il più in alto su quella scomodissima scala è Martin Bormann, il figlio omonimo del segretario del partito nazista; proprio del peggiore di tutti. Martin Bormann jr. durante la visita in Israele è stato tutto il tempo molto emozionato e ha detto a Dan Bar On che in vita sua ha fatto due conversioni: la prima dopo avere incontrato il cattolicesimo, e l'altra dopo avere incontrato il terapeuta: «Non so di che religione si tratti - sorride Bar On ma so che aiuta qualche ebreo e qualche tedesco a vivere con un passato invivibile. Non a perdonare, né a chiedere scusa, né a scontrarsi. Solo a vivere l'invivibile». Bkr On è professore all'Università di Beersheba. Nel suo fisico atletico e marzialmente norc' ,o, il cinquantaquattrenne israeliano porta i segni di una congiunzione psicologica che prima di Hitler era nel cuore stesso della storia dell'ebraismo e della Germania: «La mia famiglia era una famiglia di ebrei tedeschi molto bene integrati: medici, banchieri, avvocati. Mio nonno amava tanto la sua divisa, che la indossò perfino per il suo matrimonio». Nel '33 di fronte al nazismo montante la famiglia di Bar On prende la strada della Palestina: «Sono cresciuto da israeliano postbellico nella ferita stessa dell'Olocausto. Ho ereditato l'idea di un mondo diviso in bianco e nero, in buoni e cattivi, in umano e di¬ sumano. Lentamente però studiando psicologia ho capito che questo modo di vedere non ha portato a niente:'il silenzio, l'incomprensione sono rimasti tali, i perché sono rimasti dei perché, la punta dell'iceberg ha mantenuto il mistero di ciò che è sommerso. Ho fatto la mia tesi di laurea su questo tema: gli attacchi di cuore fra i sopravvissuti dell'Olocausto. Ho scoperto che i malati prima dell'attacco non avevano mai parlato della loro esperienza. Solo dopo aprivano le cateratte di terribili racconti». Bar On comincia a studiare e a condurre interviste nel kibbutz in cui fa il contadino e lo studente; prende poi una borsa di studio per l'America e s'interessa di quello che è accaduto ai figli non solo dei sopravvissuti ma anche dei nazisti. Comincia a capire che c'è qualcosa di strano nella loro psicologia incontrando un caso alla rovescia: «Discussi a lungo con una donna tedesca che aveva abbandonato la famiglia da ragazza, e si era fatta ebrea per espiare - diceva - le colpe di suo padre. E che cosa aveva fatto suo padre? Presto, insieme, scoprimmo che non aveva fatto quasi nulla. La donna aveva solo fantasticato di un passato di aguzzino. Ma ormai era tardi per ricucire i rapporti. Il padre era morto». Nel 1984 Bar On va in Germania invitato dall'Università di Wuppertal e mette un annuncio sul giornale: «Ps'icanalista israeliano è interessato a parlare con qualsiasi figlio di chi abbia partecipato allo sterminio degli ebrei». Le risposte vennero lentissime e confuse. Solo due o tre erano in realtà figli di gente che aveva veramente fatto qualcosa di grave. «Io sedevo all'università, aspettavo e aspettavo. Attesi un anno e il silenzio era terribile. Perché era un silenzio interiore, il silenzio della Germania intera. Un giorno parlavo con un carissimo amico che cercava con sincerità e affanno nella sua monte qualcuno che avesse le caratteristiche desiderate. Non lo trovava. D'un tratto esclamò: "Ora che ci penso: mia sorella è sposata col figlio di uno dei maggiori autori del programma di eutanasia..."». Bar On capì che la rimozione dei tedeschi era tale che altro non restava da fare se non agire come un vero detective. E si mise alla ricerca. Martin Bormann jr. è più alto di suo padre, ma gli somiglia alquanto. Però, prima di saperlo Bar On era già in contatto con lui da mesi: Bormann si faceva vivo solo per telefono. «Parlammo molte volte ed ogni volta a lungo. Ma lui aveva paura di me, e io di lui. Mi dice¬ vo: non ce la faccio col figlio di uno dei più terribili nazisti, non ce la farò mai a guardarlo in faccia. Invece dopo la prima volta ad ogni incontro il rapporto si è fatto sempre più stretto, vidi con sollievo che i suoi occhi erano caldi e sofferenti. Capii più tardi che Bormann aveva salvato il suo cuore solo perché i suoi genitori, nella fuga, lo avevano affidato a della gente semplice, a dei montanari che avevano saputo volergli bene e fargli scordare in parte il periodo di Brechtesgarten, il ghetto dorato in cui vivevano le famiglie dei capi nazisti». Lì una sola volta il bambino Martin vide degli ebrei che facevano lavoretti di muratura: ma non li riconobbe perché, date le descrizioni, non gli sembrarono ebrei. . Bormann è ancora oggi impaurito dall'idea che suo padre lo ucciderebbe, come lui dice, se potesse rivivere e scoprire che è diventato religioso: «Martin si fece prete; poi, in ospedale, dopo un terribile incidente ha incontrato l'infermiera-suora che sarebbe divenuta sua moglie. Hanno lasciato ambedue i voti e si sono sposati. Ma figli non ne ha voluti». Bar On racconta che per venire in aprile a incontrare lui e il gruppo di pazienti, Bormann ha scelto una strada particolare. E' passato dal Sinai in un pellegrinaggio: «Ha fatto il suo Esodo verso Israele Una volta arrivato qui, ha detto di sentirsi più sicuro che in qualunque altro posto. Era molto colpito da come abbiamo coltivato il deserto; ha pianto al Museo dell'Olocausto; si è sentito depresso quando una donna, durante un incontro pubblico, ha chiesto a tutto il gruppo come avevano potuto i loro genitori concepire figli mentre uccidevano i bambini ebrei. Bormann ha detto: "Me lo sono chiesto anch'io tante volte"». Bar On dice che oggi Bormann rispetto a come poteva essere in gioventù è certamente una persona tranquilla: «Del padre però non dice una parola. Inconsciamente, nel passato, ha tentato il suicidio almeno tre volte: quando è andato a fare il missionario nello Zaire è stato torturato quasi a morte dagli indigeni. Poi, in Germania, ha avuto un' incidente di macchina quasi mortale». Bar On pensa che il mondo di oggi sia quasi maturo per capire cos'è successo nell'Europa degli Anni 30-40 e possa superarlo: «Ormai ci troviamo fuori temporalmente dall'ira giustificata dei testimoni diretti. I figli, più pacatamente possono parlarsi e condividere il dolore». Così nei prossimi mesi Bormann e gli altri del gruppo s'incontreranno di nuovo con Bar On: «Solo con lo scambio tra immense sofferenze si possono superare i traumi della storia». inanima Nirercstein