Marrinazzoli: pronto ad andarmene

Ore drammatiche in casa democristiana; il leader incontra Ruini. De Mita: il Centro porta iella Ore drammatiche in casa democristiana; il leader incontra Ruini. De Mita: il Centro porta iella Marrinazzoli: pronto ad andarmene De Rosa è con lui, «se non si cambia faccio le valigie» ROMA. In una calda mattina democristiana un Guido Bodrato accigliato se la prende con gli inventori della iormula dell'«autoscioglimento» del partito e con chi vuole mettere in soffitta la de per far posto al «centro popolare». «Ma scherziamo - dice -, come si fa a decidere il nome se non si sa ancora quale sarà il soggetto? Rischiamo di fare la fine di quel personaggio di Rascel che indossava l'uniforme del corazziere malgrado fosse basso di statura». Poco più in là, nel Transatlantico di Montecitorio, Ciriaco De Mita interpreta davanti ai giornalisti uno show dei bei tempi: «Ve l'ho detto e ve lo ripeto, morirete democristiani». Poi, dopo questa testimonianza di orgoglio scudocrociato, l'ex segretario de si lascia* andare anche all'ironia: «Senza contare che "centro" è una parola iettatoria per i partiti cattolici». Ancora qualche metro e va in soena un altro ex grande di piazza del Gesù, il predecessore di Martinazzoli, Arnaldo Forlani, anche lui irritato. Il suo è un linguaggio felpato, ma la sostanza è la stessa. «Un fatto è certo - avverte -, il cambio di nome non deve essere la delegittimazione di un'esperienza valida e vincente. Deve essere esattamente l'opposto di quello che è stato per il pci-pds. Voglio capire cosa significa "centro". Io avevo parlato di partito popolare, ma lo feci da una posizione di forza, non autoliquidatoria». Se Forlani è diplomatico, un altro ex segretario de, Flaminio Piccoli, sintetizza in poche parole quello che pensa la vecchia guardia del partito: «Chi ha proposto un'idea del genere è un pazzo». Forse l'altro ieri quella parola, «autoscioglimento», sarà sfuggita per errore dalla bocca di Pierluigi Castagnetti, capo della segreteria di Mino Martinazzoli. 0, magari, sarà stata il frutto di una sua iniziativa del tutto autonoma. Oppure, in alternativa, potrebbe essere stato lo stesso segretario ad inviare in avanscoperta il suo più stretto collaboratore. Ma la generale levata di scudi contro quell'uscita è un segnale concreto di quanto sarà traumatico e duro lo scontro nella de. La pioggia di critiche ieri ha costretto Martinazzoli, almeno in pubblico, a fermarsi, a dare l'impressione di fare marcia indietro. «Io - ha precisato - non ho mai parlato di autoscioglimento». Poi, ha spiegato le sue intenzioni: «Il mio slogan è "rinnovare senza rinnegare". Vi pare così difficile capirlo? Non credo che sia tanto criptico. Tutto ciò che vediamo ci suggerisce non il diritto ma il do¬ vere di tenere il campo. Il contrario, insomma, di una tentazione liquidatoria. Né sono d'accordo sull'idea che c'è stata un'accelerazione. La scansione è la stessa: prima l'assemblea per definire programma, strategia e forma partito, e poi naturalmente ci sarà un congresso». Questo per le Tv, per il pubblico e per calmare i democristiani arrabbiati. In privato, invece, Martinazzoli ha dato l'impressione di coltivare un'ipotesi più suggestiva. E, probabilmente, l'azione messa in atto l'altro ieri, con un sincronismo perfetto dal segretario (il cambio del nome in «centro popolare») e dal suo secondo Castagnetti (l'ipotesi dell'«autoscioglimento»), non era altro che un modo per saggiare il terreno, per provare le resistenze interne al partito. «Lui ha fatto il nome - ha confidato ieri lo stesso Castagnetti - e io ho messo il verbo». Insomma, quello di mercoledì non sarebbe stato altro che un primo tentativo di imporre la svolta, con quella tattica dello «stop and go», usata da Achille Occhetto nel processo di trasfor¬ mazione del pei in pds. Una sortita resa necessaria dall'urgenza di uscire da quella situazione di «impasse» e di paralisi in cui si trova la de. Martinazzoli è il primo a sapere, infatti, che il suo progetto alla fine potrebbe rimanere incompiuto, bloccato dalle vecchie logiche di partito e dalle intramontabili dispute ideologiche. E non per nulla, malgrado tutto, il segretario continua a ventilare l'idea delle dimissioni come «ultima ratio» per indurre il partito a cambiare. Mercoledì pomeriggio a chi lo è andato a trovare a piazza del Gesù, Martinazzoli, tra un discorso e l'altro ha ancora ipotizzato un gesto di quel tipo. «Questa è una gabbia di matti - ha detto in un momento di sconforto -, ma se continua così io me ne vado». Stesso discorso ha ripetuto al card. Ruini, in un incontro che si è svolto nella serata. Il «vicario» di Roma, però, lo ha invitato a non abbandonare, a tentare ancora. Inoltre gli ha confermato che la Chiesa, in un momento in cui argomenti come l'ingegneria genetica o l'aborto mettono in discussione grandi princìpi, non può non avere come riferimento in politica una forza come la de. Ieri mattina l'idea di mettere sul tavolo della direzione il mandato di segretario è tornata nel colloquio che Martinazzoli ha avuto a Palazzo Madama con Gabriele De Rosa. I due hanno fatto un'analisi pessimistica sulle reali possibilità di cambiamento del partito e si sono lasciati con l'in¬ tesa di forzare insieme la situazione. A fine della mattinata, nel giorno del suo compleanno, l'anziano professore che per caso ha sostituito Antonio Gava, si è sfogato davanti all'ascensore del gruppo de del Senato. «Martinazzoli - ha spiegato De Rosa - ha in mente un gesto. Non è sul nuovo partito, ma sul rapporto tra lui e il partito. Potrebbe chiedere un chiarimento di fondo. Del resto anch'io non ce la faccio più. Il rischio non sono le scissioni: dove andrebbero, per tetti? Il pericolo vero è un'esplosione del partito». Ed ancora: «No, non si può andare avanti così, è praticamente impossibile. Non si possono tenere insieme le quattro anime, i quattro gruppi che adesso compongono la de. O ci mettiamo in testa che si lavora tutti insieme o altrimenti arrivederci». Le dimissioni del segretario, le dimissioni di De Rosa: sembra proprio che il vertice della de, nella disperazione, per tenere unito il-partito e avviare la «rigenerazione» sia pronto a giocare fin dalla direzione di oggi il tutto per tutto. Del resto Martinazzoli e i suoi non hanno altre strade. E' bastato solo parlare di cambiamento di nome che nel partito è nata una sorta di «rifondazione democristiana» animata da Publio Fiori, che ha minacciato di adire addirittura le vie legali contro chi osa toccare la vecchia sigla de. Per non pensare alle riunioni spontanee dei resti delle vecchie correnti che, in un'alleanza trasversale, cominciano a chiedere la testa di Castagnetti e di D'Andrea (ha posto la questione il sen. D'Amelio) per preparare la decapitazione dello stesso Martinazzoli. O alle riunioni dei vecchi e nuovi capi locali che proclamano la nascita delle de regionali: ha cominciato la Bindi in Veneto; poi, ieri, si è svolta una riunione di consiglieri regionali in Sicilia allo scopo di creare una de siciliana regionale; e, sabato, la stessa cosa faranno anche alcuni deputati campani a Salerno. Insomma, la miccia dell'esplosione democristiana è già accesa e sta per consumarsi. Augusto Zinzolini «Lazzati mi disse per la prima volta quel nome: democrazia cristiana» A sinistra: Giuseppe Dossetti In basso: Mino Martinazzoli

Luoghi citati: Roma, Salerno, Sicilia, Veneto