Sacrificati alla geopolitica di Domenico Quirico
Da Marsiglia a Stoccolma un giorno di terrore curdo Sacrificati alla geopolitica Da Sèvres al Golfo 70 anni di tradimenti UNA STORIA DI SANGUE ELI/ELENCO dei loro nemici compaiono Atatùrk, Ozal, Khomeini, Reza Pahlevi e Saddam Hussein, ma i rivali più insidiosi, forse, sono la disattenzione e il silenzio del mondo. Perché i curdi sono uno dei grandi buchi neri della storia, uno di quei popoli dimenticati dalla Realpolitik che lottano da quasi un secolo per uno Stato, che appare loro con la precisione provocante, desiderabile e cristallina ma sempre elusiva di un miraggio. Sono venticinque milioni, più numerosi di qualsiasi Paese arabo con l'eccezione dell'Egitto; eppure, mentre nel mondo fioriscono le nuove nazioni, nessuno è disposto a riconoscere una bandiera curda e per non essere dimenticati devono assaltare le ambasciate. La guerra del Golfo regalò loro un alito di speranza: per un attimo si illusero che, per punire Saddam, i Grandi del mondo avrebbero ritagliato una frontie- ra su quelle montagne che vigilano sulla Mezzaluna fertile e fronteggiano il Caucaso dalle mille etnie. Fu un sogno; come settanta anni fa, tra gli specchi di Versailles, quando altri potenti si piegarono sulle carte per cercare una terra da regalare a questo popolo di guerrieri, musulmani senza fanatismo, che non mortificano la bellezza delle loro donne con il chador e coniugano Maometto e Zaratustra. Lo scrissero anche, nero su bianco, nel trattato di Sèvres che disintegrava, le spoglie incartapecorite dell'Impero turco. Tre anni dopo, quando il trattato divenne la pace definitiva, della promessa non c'era più alcuna traccia. Colpa del petrolio, benedizione e condanna di quelle montagne tra i due fiumi, e delle ragioni della geopolitica: la Russia bolscevica lusingava i curdi con la promessa della rivoluzione, mettendo i brividi alle cancellerie d'Occidente. Meglio chiudere un occhio, al¬ lora, sul grande massacro: la Turchia era guidata da uno spietato giacobino del nazionalismo, Atatùrk, che li cacciò, baionetta alla schiena, sulle montagne coperte di neve, copiò articoli del codice Rocco per vietare la loro lingua e ogni autonomia amministrativa e «bonificò» la terra con la rabbia dei coloni turchi. Da allora tra i due popoli costretti a vivere insieme si è alzata la muraglia dell'odio e si è fermato il tempo della storia. Tutti i governi di Ankara, progressisti come Ecevit, tecnocrati come Ozal o generali, hanno una sola parola d'ordine: i curdi non esistono, sono semplicemente dei turchi di montagna, e la loro lingua è solo una filiazione del turco. Divisi fra tre Stati i curdi scontano un'unica aspra penitenza: Saddam li ha usati come cavie della sua guerra chimica, gli eredi di Khomeini li indicano come obiettivo della guerra santa, i turchi li fronteggiano da nove anni in una guerra civile che ha causato diecimila morti. Il rivale di Ankara è un guerriero che chiamano affettuosamente «Apo», lo zio, Abdullah Ocalan, una sorta di Arafat curdo che guida dalla Eekaa, tortuga del terrorismo internazionale, la sua armata del Fronte di liberazione curdo. Ma la Turchia, nel terremoto del dopo Urss, è diventata una piccola potenza che controlla milioni di turchi d'Asia; senza dimenticare che presidia la prima linea della guerra infinita contro Saddam. E allora, come settanta anni fa, il mondo preferisce non vedere. Domenico Quirico Un membro del commando curdo a una finestra del consolato turco a Monaco dove gli assalitori hanno preso in ostaggio una ventina di persone [FOTO REUTER]
Persone citate: Abdullah Ocalan, Arafat, Ecevit, Khomeini, Mezzaluna, Ozal, Reza Pahlevi, Saddam Hussein
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