L'ESORDIO DI MORESCO UNA VOCE CLANDESTINA di Bruno Quaranta

L'ESORDIO DI MORESCO UNA VOCE CLANDESTINA L'ESORDIO DI MORESCO UNA VOCE CLANDESTINA I NOSTRI E FAN SHOP] austero, che non conosce eccessi, maglia blu indossata come un'uniforme, gli occhi forse docili, forse innocenti, cittadino di un palazzo gaddiano, scolpito in un silenzio che d'improvviso potrebbe franare, liberando voci, odori, pasticci, trame del sottosuolo: ecco la «scoperta» di Giulio Bollati. «Sì, Milano non è stata tenera con me. Dopo essermi rivolto un po' ovunque, ho spedito il manoscritto alla casa torinese. E' piaciuto. Spero di avere trovato ascolto. C'è un romanzo a cui tengo in particolare, Gli esordi, un migliaio di pagine. Un'altra opera voluminosa mi aspetta, genere nuovissimo, assorbirà il tempo che mi resta». E' dall'età di trent'anni che Antonio Moresco mette ogni giorno nero su bianco: «Prima facevo i lavori più svariati. In seguito - capisco la curiosità, la letteratura sin qui non mi ha offerto una lira - sono sopravvissuto grazie al mio Teo. Sa, il provvidenziale fratello di Van Gogh che dovrebbe venire in soccorso di ciascuno di noi...». I trent'anni hanno segnato anche il ritorno di questo monacale signore alla lettura: «Prediligo il Goethe delle Affinità elettive e Cervantes: impareggiabili nel rende- Antonio Moresco: esordisce da Ho/lati Boringhieri con tre racconti, «Clandestinità» re infinita la storia attraverso una scrittura all'apparenza semplice. E con loro Proust, Celine, il Gadda di La cognizione del dolore». Radicalmente solitario, in fuga dal «colesterolo stilistico» e dalle sirene consumistiche, Antonio Moresco arriva in libreria con tre racconti «devastanti», proiettili che, raggiunto l'obiettivo, la carne, deflagrano, si trasmutano in mille schegge. «La camera blu»: un ragazzo pedina il sesso di una signorina cieca. «La buca»: un bambino è attratto da ima latrina, rovistandola vi scopre un filocordone ombelicale che lo condurrà a distinguere nella melma la voce della madre morta di parto. «Clandestinità»: un giovane scivola, di ossessione in ossessione, verso lo squartamento d'uno sconosciuto o di se stesso. In copertina, a rappresentare gli incubi tranquilli di Antonio Moresco (tranquilli perché domati con una scrittura che incide e subito cauterizza), un cacciatore di Igor Mitoraj. Ma non è azzardato decifrare nel trittico accolto da Bollati Boringhieri - miscela di escrementi, voyeurismo, sangue, torture, surreali onanismi - una nitida impronta di Bacon. Il giudizio che un critico, Luigi Carluccio, riservò a una mostra dell'artista inglese s'intona all'opera di Moresco: «Non siamo in presenza del diavolo, ma certo di fronte ad immagini crude, definite con terribile intuizione del sottofondo dell'uomo, della sua tensione nervosa, della sua capacità di soffrire ad occhi aperti». Non assente e non smentisce, Antonio Moresco. Reduce da una lunga clausura, da una riflessione ostinata, maniacale, su se stesso è curioso di «scoprirsi» nei giudizi altrui. Ma non è arroccato, lascia ancora filtrare qualche traccia: «Ributtanti i materiali dei miei racconti? A me è parso di modellare una plastilina metafisica, inodore». Magari perché il terrore era ormai alle spalle: «Simboleggiano - fanghiglia e fetori, sterco e necrosi - le zone buie che ho dovuto attraversare per elevarmi. Come non pensare a Celine, magistrale nel caricare di verità l'oscurantismo? Non a caso in Clandestinità cito spesso l'Iliade. E' un poema dominato dalla guerra. E io ho duellato allo spasimo per uscire dall'ingorgo e conquistare un'identità. Questo libro è una sorta di big bang, un'esplosione che ha liberato lo scrittore racchiuso in me». Il tinello è immoto, non un fruscio. Anche le cose hanno imparato a tacere, ad assicurare la creativa atmosfera claustrale. Già Gadda, dettando la ricetta del risotto alla milanese, offriva un salvifico consiglio esistenziale: essere «chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe spiacevole». La latrina è lontana, Antonio Moresco adesso è scandalosamente felice. DN uomo scopre nell'incavo di un ginocchio una «malformazione» che si trasforma in vagina e la vagina resta incinta... Buhuel? Ributtante reperto clinico di Oliver Sacks? E' Cock and Bull, ultimo romanzo del più pazzo tra i giovani scrittori inglesi, Will Self, 26 anni: il problema dell'identità sessuale riproposto nella più impassibile e trasgressiva forma classica. L'autore è stato una delle attrazioni nell'annuale convention (itinerante) dell'American Bookselllers Association, immensa Francoforte per librai tenutasi pochi giorni fa in una Miami di nuovo in preallarme da uragano e dove invece non è successo nulla, anzi, «tutto era molto bello» come dice Inge Feltrinelli. Vitalissima, la padrona di via Andegari racconta di essersi enormemente divertita tra il demi-monde della spiaggia più kitsch del pianeta («ah, quei ricchi sudamericani...») e la banda dei colleghi italiani, arrivati numerosi a dispetto di dollaro e crisi («mentre mancavano scandinavi e inglesi; poca gente perfino dalla Francia»), essendo riuscita naturalmente a concludere ottimi affari anche con il romanzo di Self che pubblicherà nella primavera '94. Ma le novità che Inge, Elisabetta Sgarbi e Federica Olivares, tre fra le più influenti signore-manager della nostra editoria, hanno portato a casa da Miami sono molte e notevoli. Perché al di là dell'oceano, lo sottolinea in particolare la Olivares, si stanno sviluppando vari fenomeni. Sarebbe finita la fortuna dei manuali (notizia meravigliosa, e si vedrà come le catene di montaggio di Mondadori e compagni riempiranno la voragine lasciata dalle bibbie del corpo e del successo). Fortissima risulterebbe la «tendenza civica»: vale a dire grande impegno nella ricerca delle radici etniche, riesame del rapporto maschio-femmina con diverso interesse per i ruoli, attenzione verso il terzo sesso anche di editori «accademici»; in sostanza una revisione dei valo- Inge l'eli Bruno Quaranta

Luoghi citati: Francia, Francoforte, Miami, Milano, Moresco