DI CHE NAZIONE SEI? di Alberto Papuzzi

DI CHE NAZIONE SEI? DI CHE NAZIONE SEI? Mentre l'Italia si frammenta, torna il classico di Renan LA ITALIA si smem^ bra - sotto i colpi / di Tangentopoli, della Lega, dei ballottaggi, della recessione - e gli italiani si domandano, colti da improvvisi dubbi e timori, che cosa significhi essere una nazione e che cosa accadrebbe se scoprissimo di non esserlo. Il polemico libro Se cessiamo di essere una nazione di Gian Enrico Rusconi a tre mesi dalla pubblicazione figura tuttora nelle classifiche dei saggi più venduti. Ed ecco che l'editore Donzelli, con tempestività e felice intuito, manda in libreria, nella raffinata collezione «Biblioteca», un classico della letteratura politica: Che cos'è una nazione? dì Ernest Renan, apparso in Francia nel 1882, caposaldo del pensiero nazionalista (pp. 180, L. 32.000). I fascismi, il nazismo, gli imperialismi e due guerre mondiali hanno gettato un'ombra di sospetto sull'idea di nazione. Per cui l'argomento è stato bandito dai circoli intellettuali, soprattutto da noi, che nella prima metà del secolo abbiamo fatto i conti - come dice lo storico Silvio Lanaro, nell'intervento che pubblichiamo in questa stessa pagina - con un nazionalismo senza nazione, soltanto ideologico e politico, che non rispecchiava un'identità culturale e civile, ma si cristallizzava in una retorica. Questo è il pedale su cui calca l'esercito leghista, come è noto: non esistono gli italiani, se non come convenzione geografica e politica, bensì esistono i veneti, i lombardi, i toscani, i siciliani e così via. Le uniche nazioni possibili e auspicabili - dichiara Gianfranco Miglio, in una dichiarazione contrapposta a Lanaro sono le micronazioni, vale a dire gli ambiti etnici. Fatto singolare: il rifiuto dell'idea di nazione, come ferrovecchio ottocentesco, ha accomunato l'intellighenzia di sinistra e il popolo di Bossi. Che cos'è una nazione? diventa dunque il sasso nello stagno. Si tratta di una conferenza di Re¬ ORMAI è diventato impossibile in Italia parlare di nazione, il cittadino di Milano è adesso più distante dal cittadino di Catania e di Palermo di quanto non sia mai stato: fino a ieri li separava l'economia, il dialetto, gli usi, ma li univa il fatto di votare per gli stessi partiti, di guardare alla stessa capitale, di sentirsi nello stesso Stato, di avere in comune treni, poste, tasse. Adesso i meridionali vedranno avverarsi quello che finora è stato per loro un incubo più mentale che reale: venendo nel Nord si sentiranno stranieri. Mi domando se questo vale anche per chi ha studiato, si è laureato, legge libri, magari li scrive. Un professore, un docente, un giornalista, uno scrittore. Se per esempio una terza liceo viene da Napoli o da Palermo in visita a Milano o a Trieste, e passa una mattinata in aula con una classe di pari grado del Nord, possono parlarsi e capirsi, si intendono sui libri che comprano, sugli autori che preferiscono? Leggono nello stesso modo i clas¬ nan alla Sorbona, 1' 11 marzo del 1882. Lo scrittore francese di origini bretoni aveva allora sessantanni e godeva di un prestigio sancito dall'ingresso all'Accademia di Francia. Vent'anni prima aveva pubblicato la celebre Vita di Gesù, definita uno degli avvenimenti del secolo, condensato del suo idealismo religioso e capolavoro di emotività mitica e poetica. Secondo Lanaro, che ha curato e prefato questa edizione della conferenza di Renan, dal 1882 bisogna risalire al 1870, vale a dire àiXannée terrible della guerra franco-prussiana in cui mise le radici il nazionalismo francese, sprigionatosi come una vam¬ pata dalla sconfitta di Sedan ( 10 settembre). Con una facilità narrativa quasi da romanzo, lo storico ricostruisce lo sgomento creato dalla capitolazione dell'armata di Mac Mahon e dall'imprigionamento dell'imperatore Napoleone III, cui fa seguito la trasmigrazione di numerosi intellettuali francesi verso i lidi di un patriottismo nazionalistico, alla ricerca e in difesa di una Francia profonda, dei suoi valori, delle sue memorie. Straordinario è il caso di Flaubert, che il 19 luglio '70 - dichiarazione di guerra della Francia alla Prussia - se ne sta ancora «rintanato a Croisset e lima meticolosamente la seconda stesura della Tentation de Saint-Antoine», riversando sul frastuono dei tamburi di guerra «la sua iracondia e il suo disprezzo per l'universale bètise», pari all'odio verso la populace, ma che ai primi di settembre, nei giorni che separano il disastro di Sedan dalla proclamazione della Repubblica, scrive all'amica George Sand: «Vi svelerò, mia cara, che sono diventato un primitivo. Il sangue degli antenati ribolle nelle mie vene di letterato, e io ho seriamente, fisicamente, animalescamente voglia di battermi». Negli stessi frangenti, Renan ha uno scambio di lettere con David Strauss, il filosofo hegeliano teorico del mito, che alla Vie de Jesus aveva contrapposto una Vita di Gesù per il popolo tedesco. In queste lettere - pubblicate da Lanaro con il testo di Che cos'è una nazione? e di altre due conferenze di Renan, sui popoli semiti e sulla natura dell'ebraismo - si fronteggiano due patriottismi storici, quello francese e quello tedesco, ma ciò che è fondamentale è che Renan rifiuta, tenacemente, di collegare l'idea di nazione a quella di razza (o etnia): «Bisogna scindere - egli afferma - le razze dalle nazioni». E accusa i tedeschi: «Voi fate politica etnica». Questo è il carattere moderno del nazionalismo di Renan così come emerge in Che cos'è una nazione?. «Una nazione - egli risponde - è un'anima». E conia il celebre motto della nazione come «plebiscito di tutti i giorni». Rusconi ha collocato la definizione al centro del suo saggio, Lanaro ritiene che vi si possano includere «i diritti di cittadinanza e lo statuto di società multietnica». Se la nazione si basa - secondo Renan - su un passato e un presente, «il comune possesso di una ricca eredità di ricordi» e «la volontà di continuare a far valere l'eredità ricevuta», possiamo fare a meno di tale identità, possiamo smarrire questo vincolo culturale? L'interrogativo è attualissimo nell'Italia postregime. Alberto Papuzzi