VALZER I giacobini prima di Strauss
VALZER VALZER / giacobini prima di Strauss A Russia di Stalin danza sull'onda di Strauss, ma l'atmosfera è livida, «tutto il pathos romantico di Vienna si è sciolto e le ossa del valzer appaiono scoperte, bianche, nude, levigate...». E' Malaparte che nel Ballo al Cremlino, anno 1929, associa i temi di Strauss e di Offenbach al Terrore: Trotzki, impareggiabile ballerino di valzer, è diventato il grande nemico; durante una serata di danze della «corte marxista di Mosca» arriva la notizia dell'arresto di Kamenev, il vecchio compagno di Lenin, e «i parvenus, i profittatori della rivoluzione sono palhdi, mostrano stupore, paura. La sala è ormai vuota, l'orchestra continua a suonare in sordina...». Pochi anni più tardi lo stesso misfatto sta per compiersi a qualche migliaio di chilometri di distanza, a Berlino, dove il regime nazista cerca di far credere che in questo ballo vi sia un'incarnazione dell'«anima tedesca». L'operazione crea molti problemi a Goebbels, alla fine non riesce, però il destino del valzer è segnato, la frattura è avvenuta, il mondo che uscirà dalla guerra sarà il mondo del jazz, il mondo, come dice McLuhan, «del dialogo, della rottura degli schemi». Strumento meccanico, preciso, militare (Pina Bausch, genialmente, ne fa addirittura una «macchina») il valzer comincia a morire con la grande borghesia europea dell'800, con lo stile vittoriano, con le enormi ricchezze e le sterminate povertà. ? E'diventato l'emblema aristocratico della Màteleuropa, nacque come ballo della Rivoluzione politica e sessuale pMa è cosi vero tutto questo? No, non è vero. Quel valzer che oggi, fuori da un Conservatorio, sulla strada, tra la gente, non è più che una base musicale sulla quale talvolta s'innestano le variazioni più libere, è stato, tra la fine del '700 e il nostro secolo, una folgore, un affrancamento, il simbolo di una presa di coscienza, di una liberazione da tabù sessuali, una rivolta contro il dominio della Chiesa, lo specchio della più profonda trasformazione sociale della Storia, la Rivoluzione francese, (oltre che un meraviglioso «luogo» letterario). «Les cannoniere dansent avec les femmes au Palais Royal» dice una stampa citata dallo storico Jacques Mai seille con tanto di data, 10 luglio 1789. E quattro giorni dopo il popolo appende ai muri della Bastiglia il cartello «Qui si balla»: spazzati i ritmi solenni, ripudiato il minuetto simbolo dell'Ancien regime, avanti con La carmagnole e i motivi in tempo ternario che sottolineano le gesta di Robespierre e dei montagnards, la gironda e la ghigliottina mentre i sanculotti, nelle sacrestie dei monasteri trasformati in sale da bai- La scena del valzer nel «Gattopardo» di Visconti lo e tra le tombe di Saint-Sulpice, stringono le loro belle tricoteuses e le «fanno saltare». Il trionfo del Terzo Stato è scandito dall'euforia e da quella specie di trance che è il fascino e l'ineffabile dell'un, due, tre. E' questo il dato esplosivo (è il caso di dirlo) nel saggio-narrazione di Rèmi Hess II valzer - Rivoluzione della coppia in Europa in imminente uscita da Einaudi (pagg. 348, lire 44 mila): l'autore, forte di una minuziosa, colta e mai pedante ricerca, vi allarga e conferma la tesi a suo tempo «lanciata» da Roman Vlad nella sua Storia del valzer (in «Musica e dossier» 1989) e considerata una pietra miliare per gli studiosi. Nell'estrema sintesi dì un percorso molto complesso, Vlad però ag¬ giunge: «Valzer come rivoluzione, ma poi anche e soprattutto come mezzo di unione dei ceti». Ecco il punto, condiviso da Hess. Perché il valzer, ingiustamente marchiato come danza aristocratico-borghese, è stato invece e sempre la danza di tutti: dei contadini provenzali o austro-tedeschi (che, nel '600 o già prima, ballavano rispettivamente la volta e il landler) così come di Goethe e De Musset; era il ballo delle coppie di periferia nelle «balere» parigine della Restaurazione e nella Speri, la celebre birreria di Strauss, ma era anche, sino allo sfinimento, il ballo degli uomini di potere addetti, nella Vienna del 1815, alla spartizione dell'Europa postnapoleonica. Dalle sale della Hofburg usciva il famoso lamen¬
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