«Statalista? Sarà lei»

Pds, Dalla Chiesa, Bankitalia tutti accomunati nell'accusa il caso. Da Bossi a Vitale, una parola passepartout contro gli avversari «Statalista? Sarà lei» E' nato il nuovo insulto politico EMILANO ASSI per Bossi. In politica tutto è lecito: perché meravigliarsi dell'insistenza del senatur nel dispensare in dibattiti tv e comizi di piazza quel termine, «statalista», come se fosse la peggiore delle onte? Il segretario del pds, Achille Occhetto? «Uno statalista». Bruno Trentin della Cgil? «Un vetero statalista». Nando Dalla Chiesa, l'avversario (stra-i battuto) di Marco Formentini nella corsa a sindaco di Milano? «Statalista coi baffi», è ovvio. Polemica politica, si dirà. E neppure tanto nuova: da quanto tempo i sostenitori di una presenza dello Stato nell'economia, nel sociale e - perché no - nella cultura e nello sport ricevono bacchettate sulle dita dagli epigoni del liberismo, del mercato lasciato a se stesso, del «laisser faire» del buon vecchio Adam Smith? Ma adesso Mani pulite è lì a dimostrare che per anni più Stato in economia e in politica ha significato occupazione del potere tout-court da parte del sistema dei partiti. «Statalisti», urla Bossi. E l'italiano medio non ha bisogno di traduzioni: capisce che la parola è entrata nel vocabolario dell'insulto politico. D'accordo, Bossi è Bossi con i suoi colpi di spadone dati di piatto. Ma come la mettiamo con le sciabolate di un Marco Vitale, l'uomo che ha accettato di collaborare con i leghisti nella nuova giunta di Formentini ma che prima di tutto è economista, consulente d'azienda, personaggio avvezzo a trattare in modo serio di pubblico e privato, di Stato e di mercato? «Noi stiamo vivendo contestualmente la crisi dell'economia malavitosa e la crisi del pensiero e della politica statalista, ma mentre la prima ha incontrato i suoi Di Pietro ed è in rotta, la seconda è al governo e sta vivendo, apparentemente, il suo momento di massimo potere», ha scritto sul Giornale di Montanelli. Per aggiungere subito una bordata de- stmata a non passare inosservata: «Il perno di questa politica è rappresentato dalla Banca d'Italia che è il più influente centro di pensiero statalista esistente nel mondo occidentale». Statalista? Statalista sarà lei! Abituiamoci fin d'ora al botta e risposta dei prossimi convegni dell'estate. Schiere di economisti, politici, opinion-maker sono avvisati: nulla sarà più come prima. E nessuno potrà più vantare posizioni di rispetto, neppure loro, gli uomini della Banca d'Italia, i vigilantes della Consob che presiedono la Borsa, il mercato per eccellenza. «Crolla il gruppo Ferruzzi e le solite Alice nel paese delle meraviglie esternano il loro stupore», sciabola Vitale e chi siano le Alice è presto detto: il presidente della Consob Enzo Berlanda, i vertici delle principali banche, gli gnomi di Bankitalia. Statalisti. Tutti? «Chiunque mi accusasse di questo, sono pronto a sfidarlo a duello alle sei di mattina. Lo vuol fare il mio amico Vitale? Bene, scelga lui le armi». Scherza, Filippo Cavazzuti, senatore eletto come indipendente nelle liste pds, economista bolognese. Ma a suo modo conferma la tendenza: sì, è vero, nessuno più vuol passare per sostenitore dello Stato, men che meno nell'economia. «Statalista io? Ma se ho presentato il disegno di legge sulle privatizzazioni prima del governo...». Certo, nel pds qualcuno ancora rimpiange i bei tempi dello Stato tuttofare e assistenziale. «Non è stato facile, nel partito, abbandonare antiche logiche - riconosce Cavazzuti - ma si stanno facendo passi avanti da gigante». Figurarsi poi il vecchio Napoleone Colajanni. Se ne era andato dal pei perché accusato di essere un estremista dell'ala riformista: gran sostenitore del mercato, avversario dichiarato del capitalismo familiare. Statalista anche lui? «Lo considererei un insulto, esattamente come se qualcuno mi desse del "liberista". Per favore, evitiamo esagerazioni e poi cos'è questa storia dell'asse statalista pds-Banca d'Italia: ma se il pds non ha un solo pensiero forte!». Insulto, dunque. Eccome, parola di Gianfranco Miglio, gran maìtre-à-penser del federalismo leghista: «Ovvio, l'idea dello Stato è un'idea storica che sta andando verso la fine». Cessate ogni speranze, o statalisti: lo Stato sta morendo, largo al mercato. «Cosa ci sarà al posto dello Stato? Non lo so, forse niente, forse accordi comuni che dobbiamo tutti imparare a rispettare», teorizza Miglio, il federalista che sogna la morte dello Stato. Tutto il contrario di un Paolo Sylos Labini, neokeynesiano convinto, statalista moderato ma pur sempre sostenitore di uno Stato interventista. «Statalista, in sé, non è né un insulto né una lode», taglia corto Sylos Labini. Certo, se lo Stato è quello di cui i partiti hanno fatto carne di porco, aggiunge, meglio lasciar perdere. Poi chiede: «Leggi semplici e rigorose per far funzionare al meglio il mercato e uno Stato per farle e per imporle serviranno sempre o no?». Chi ha il coraggio di schierarsi si faccia avanti. Armando Zeni Ma la sinistra si ribella Colajanni: «Perfavore, evitiamo esagerazioni» i Pds, Dalla Chiesa, Bankitalia tutti accomunati nell'accusa Nella foMa la sinistra si ribella Pds, Dalla Chiesa, Bankitalia tutti accomunati nell'accusa A destra Sylos Labini Nella foto in basso Napoleone Colajanni A lato Marco Vitale, economista, consulente d'azienda, futuro assessore a Milano nella giunta Formentini

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