Spottopoli nella «Milano da bere»
Spottopoli nella «Milano da bere» Spottopoli nella «Milano da bere» Toscani: «Era ora che si facesse un po' di pulizia» RECLAME E MAZZETTE MILANO. Grilli in afasia. Per anni i pubblicitari hanno parlato di tutto (politica, cultura, mode, modi, vacanze, valori), grilli che bastava una telefonata, e loro lì a cantare. Ora che provi a sentirli sulla grana di Spottopoli, i danè in nero, insomma le tangenti, è tutto un balbettare di «boh», «ma», «aspettiamo». Maledetti Ottanta. Anni di effimeri messaggi e sostanziosi patrimoni, anni in cui la pubblicità si è moltiplicata come pane e pesci, fino alle vette dei 7-8 mila miliardi, e poi giù, verso la recessione dell'altro ieri, e le manette di oggi. Tre super agenzie indagate, Armando Testa, Young & Rubicam, Fcb Mac Publicis, tre manager (uno per uno) in galera. L'accusa è sempre quella, tangenti ai politici (in questo caso, Sua Sanità Francesco De Lorenzo) ma con un sovrappiù d'imbarazzo: gli appalti erano per spot antiAids, male del secolo, e cadaveri che ne conseguono. Allegria. L'associazione di categoria, Assap, ha esibito il comunicato di sempre: «Massima fiducia nella magistratura», «Andare sino in fondo», «Chi sa parli». Ma qui non parla (quasi) nessuno. Tranne il solito Oliviero Toscani, fotografo choc di Benetton: «Oh! Finalmente ci sono arrivati, ci voleva tanto? Sono anni che aspetto». Aspetta cosa? «Che un bel Di Pietro infilasse le mani nei cassetti delle agenzie. Ma scusi, lei si è mai chiesto perché noi della Benetton facciamo tutto da sóli?». Dica. «Per non ricevere e per non pagare tangenti. Semplice». Tutti coinvolti? «Tutti». Nomi, prego. «Eh, no. Lasciamo lavorare la magistratura». Che fa, lancia il sasso e fila via? «Io di sassi ne ho lanciati anche troppi. Si ricorda quando ho proposto una Norimberga per i pubblicitari italiani? Dicevo che loro hanno amazzato la creatività. Ora finalmente l'arcano si spiega». Ci spieghi. «Le campagne pubblicitarie venivano fatte solo in base ai soldi e non per le buone idee. Solo quando c'era da incassare budget, da fare o restituire favori. Se io ho un padrino politicot incamero il finanziamento, allungo sottobanco una busta al politico medesimo e se faccio una pessima campagna non frega niente a nessuno. Ecco perché la pubblicità italiana è di qualità mediocre, anzi infima, anzi penosa». Catastrofico, ma almeno esplicito. Come certe piccole agenzie tipo la Baldoni & Dal Borgo, che per prima ha usato «manette e di pietri» nelle sue pubblicità. «Era ora - dice Enzo Baldoni -. Siamo felici. Sì, tra noi fuori dal giro grasso, si sospettava, ci si lambiccava: campagne bellissime venivano stracciate e i soliti vincevano i budget con più zeri. Ma prove non ce n'erano, solo sensazioni». Uno come Fausto Lupetti, fuori dai giochi perché editore, ma buon osservatore perché specializzato proprio in libri di settore, dice: «Qui se tiri un filo, viene giù l'intero armadio». Spiega: «I partiti hanno sponsorizzato agenzie, le agenzia hanno finanziato i partiti. Qui si sapeva chi lavorava per i socialisti, per i democristiani e per i vari ministri». A proposito della campagna anti-Aids, si era sfiorato lo scandalo già nel '91: De Lorenzo aveva affidato 18 miliardi alla società di pubbliche relazioni Scr, presidente Beppe Facchetti, compagno di partito del ministro. Erano fioccate interrogazioni parlamentari (del pidiessino Gian Franco Tagliabue) e si era aperta una contesa in carta da bollo con un'altra società, la Seci, che sospettava favoritismi nei criteri di assegnazione dei finanziamenti. Il Tar del Lazio prese tempo ed è ancora lì che fa flanella. De Lorenzo si arrabbiò. Al cronista capitò una telefonata così: «Qui si insinuano inganni. E per cosa poi? Tangenti? Io dei soldi me ne frego, sono ricco di famiglia». Pino Corrias
Luoghi citati: Lazio, Milano, Norimberga
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