Luglio '43 un problema di stringhe

Torna «La nostra classe dirigente», romanzo di Del Buono con un occhio al presente Torna «La nostra classe dirigente», romanzo di Del Buono con un occhio al presente Luglio '43, un problema di stringhe La guerra e la caduta del regime viste da un anti-eroe arruolato volontario «per colpa della famiglia» «MILANO RESTE del Buono ripubblica, per Baldini fr Castoldi, La nostra classe dirigente, il romanzo-verità, fra storia e autobiografia, I già apparso nell'86 da Mondadori. E lo fa «con un occhio al presente». In quel libro si narra la sua avventura di giovane volontario «spinto dalla mamma» in marina per seguire le orme dello zio Teseo Tesei, morto da eroe e medaglia d'oro; e come in controcanto è minuziosamente ricostruita l'Apocalisse del fascismo, il Gran Consiglio, persino le discussioni di Mussolini con Claretta Petacci. Del Buono scherza sui numeri: «Sono andato volontario il 23 luglio, e il 25 è caduto il Regime; sono finito in campo di concentramento a Innsbruck, e ne sono tornato il 23 aprile: il 25 è stato il giorno della liberazione». E ora, a 50 anni dai fatti narrati, ripropone una tesi segreta del suo libro: «Anche oggi la classe dirigente se ne va. E tutto sommato, se guardo a queste pagine, mi sembra più dignitosa quell'altra, di cui racconto la fine». Pubblichiamo una parte del capitolo che ricostruisce in parallelo la riunione in casa Bottai per stendere l'ordine del giorno con cui Grandi avrebbe messo in minoranza il Duce, al Gran Consiglio del fascismo, e le disavventure del protagonista, assai più prosaiche e ironiche, nella base navale. «Il mio personaggio non è tanto l'imbelle quanto il pacifico», spiega lo scrittore. Il libro autobiografico, anche se narrato in modo romanzesco, finisce con una cantata allegra e melanconica dopo la prima giornata di Accademia Navale, e «nella lingua del nemico», anche se trascritta-cordialmente con la fonetica italiana: «Somtaims ai uonder uai ai stend.... Rimein mai stardest melodi». Un indovinello facile facile. [m. b.] I UEL pomeriggio a casa di Bottai ci fu la grande riunione auspicata tante e tante volte dal padrone di casa per la messa a punto definitiva del testo del famoso ordine del giorno. Nume tutelare della riunione il grande avvocato Alfredo De Marsico, maestro di diritto, fascista dichiarato ma tanto lucido da trovarsi in un modo o nell'altro iniziatore della congiura che radunava quei gerarchi intorno a quel tavolo in quella casa a quell'ora in cui la pennichella sarebbe stata il solo modo di passare il tempo cercando nella piccola morte un minimo di scampo dal calore in continuo progresso. De Marsico, infatti, insieme con Vittorio Cini, era stato il primo a ribellarsi alla illogicità della prosecuzione della guerra durante il Consiglio dei ministri del 19 giugno e quindi aveva addirittura preceduto lò sbarco degli angloamericani in Sicilia del 10 luglio e la protesta presso Mussolini di Bottai, De Bono, Farinacci, Teruzzi e Giurati del 16 luglio con relativa richiesta di convocazione del Gran Consiglio. De Marsico era diventato Guardasigilli al posto di Grandi nel cambio di guardia dell'inizio 1943. Il grande penalista napoletano era stato sorpreso dalla notizia della nomina, anche se pochi giorni prima da Palazzo Venezia gli era stato reclamato un suo curriculum. Sapeva di esser considerato dal Pnf fascista non conformista o almeno fascista non abbastanza conformista per esercitare una funzione di responsabilità nei quadri di un governo totalitario, garantendo il sacrificio delle proprie convinzioni e del proprio passato alla ragion di regime. La notizia della nomina, arrivata attraverso la radio, lo aveva fatto meditare per un poco sui motivi di una simile mossa a sorpresa. Aveva concluso che, sotto la pressione degli eventi, il Pnf doveva aver deciso di avvalersi di tutti gli uomini di valore a portata di mano, anche di quelli che apparivano meno disposti ad accettare una responsabilità senza assumerla realmente e, meno che mai, abituati a ubbidire senza di scutere la giustezza e il fondamento degli ordini provenienti dall'alto. [...1 I cinque avvocati erano menti fini, anche se sino a poco tempo prima avevano oscenamente idolatrato quello stesso Mussolini che ora avevano così in odio e intendevano mettere da parte, comunque non pensavano che quel testo storico avesse la capacità di scardinare il disordine costituito da oltre un ventennio. Era un testo senz'altro storico, ma mirante a porsi come una premessa. In sé e per sé contava e non contava, ne avrebbero consolidato la storicità altri testi, altre manovre, altri atti pubblici. Di qui l'accanimento nelle continue rimanipolazioni, la ricerca di un tocco di perfezione, ovvero di ulteriore incertezza. Ciano, a esempio, si scalmanò, quasi a recuperare il ritardo sugli altri congiurati, perché nel finale il discorso risultasse un poco più snellito. Non tanto per renderlo più esplicito, caso mai per renderlo più sfumato. E, sotto le sue pressioni, venne alleggerita in particolar modo proprio la parte che De Marsico aveva approfondito sul versante giuridico costituzionale, specificando le attribuzioni e le competenze del Gran Consiglio, che sino ad allora non aveva minimamente provato a chiarirsi funzioni e poteri. Ciano voleva che non si eccedesse in argomentazioni troppo sottili, probabilmente nel timore che, se avesse letto quei virtuosismi giuridico-costituzionali di De Marsico, Mussolini avrebbe potuto ripensare all'insidia del documento di un organo che pretendeva d'improvviso di aver valore vincolante, mentre lui, alla creazione, gli aveva elargito solo il per¬ messo di farsi consultare. Quando ricordo che le mie più sentite preoccupazioni, presso a poco nelle stesse ore in cui tante menti e tanti cuori illustri pulsavano per assicurare alla Patria la sorte peggiore, erano originate dalla constatazione che era vero che sotto le armi fregano tutto, e, infatti, durante la mia vestizione da marinaretto al Maridepo di Pola, mi erano d'improvviso scomparse le stringhe dagli stivaletti in dotazione, ho la conferma che la mia statura morale è sempre stata bassa come la mia statura corporale. Quando era stato che, mentre gli addetti alla vestizione continuavano a trafficare in camisacci blu e magliette bianche, pantaloni bianchi e pantaloni blu, berretti blu e cordoni bianchi, mi ero reso conto che, non capivo assolutamente come, dagli stivaletti neri appena ricevuti che mi preparavo a calzare, qualcuno mi aveva fregato le stringhe? Di sicuro, la scoperta aveva preceduto il rancio, perché il medesimo mi era restato sullo stomaco, dovendolo appunto consumare con sotto il tavolo gli stivaletti da marinaretto calzati, sì, ma slacciati per mancanza delle stringhe, e con il rovello, dunque, di dover escogitare il modo di rimediare al furto nell'esile intervallo di tempo che mi restava tra il pasto e la partenza per Brioni. Non c'era uno dei miei simili lì intorno che mi ispirasse abbastanza fiducia da indurmi a rivelargli il mio pedestre segreto, il mio struggente bisogno di aiuto. D'altronde, se qualcuno dei miei simili lì intorno avesse chiesto il mio aiuto per una cretinata del genere, non sarei stato in grado di fornirglielo, anche con la migliore volontà di questo mondo. Di conseguenza, neppure io potevo pretendere troppo dagli altri. L'unica morale stava nell'arrangiarsi. Ma non era semplice cominciare a rubare, essendo questo il significato obbligato di arran¬ giarsi. Certo, ove mi fosse stata posta la scelta tra il fregare un paio di stringhe a qualcuno di quei miei simili lì intorno e il lavorare insieme con quelle cinque menti e quei cinque cuori illustri ad arricchire e a sgranare, a potare e a bulinare, ad affinare e a oscurare il testo di quell'ordine del giorno, avrei optato per la fatica intellettuale come più comoda e meno pericolosa. Oreste del Buono Si stende lordine del giorno Grandi: e un cadetto lotta con gli stivali Claretta Petacci e a sinistra Teseo Tesei: eroe della Marina, fu lo zio di Del Buono

Luoghi citati: Innsbruck, Milano, Mondadori, Pola, Sicilia, Venezia