Wilder la vita spericolata di Gianni Rondolino

Le «confessioni» del regista Le «confessioni» del regista Wilder, la vita spericolata 1| ABBIAMO visto a BerliJ no in febbraio, durante l'ultimo festival cinemaj tografico, aggirarsi per le LI vie e nei locali attorno all'Hotel Kempinski, fra il Kudamm, la Kantstrasse, Savigny Platz: i luoghi del suo primo soggiorno berlinese, quando il giovane Billy Wilder (al secolo Samuel «Billie» Wilder), a metà degli Anni Venti, giunse nella capitale da Vienna. Un vecchio allegro, arguto, pieno di vita e di humour, con i suoi quasi ottantasette anni ben portati (è nato a Sucha, una piccola città della Galizia, nel 1906), che si divertiva come un ragazzo. Wilder, scrittore scanzonato, reporter sbarazzino e soggettista e sceneggiatore cinematografico innovatore, si muoveva nella Berlino prenazista, percorsa dai fermenti delle avanguardie politiche e culturali, come un giovane non soltanto di belle speranze e con una grande voglia di affermarsi, ma anche di acuta sensibilità. E faceva di Berlino il grande palcoscenico della sua ricerca. A vent'anni conosceva già le persone più importanti e influenti. E intanto per due mesi, dal 15 ottobre al 15 dicembre 1926, s'era fatto assumere comegigolò, come «ballerino di società», all'EdenHotel. Bizzarria? bisogno di denaro? curiosità? certamente una delle molte facce del giovane Wilder, come ci appare nell'autobiografia uscita di recente in Germania (Billy Wilder, Eiue NahaufiiahHellmuth Hoff- Il regista Billy Wme voti Karasek, mann und Cam pe, Hamburg), che è il frutto di lunghi incontri e interviste del regista con lo scrittore tedesco Hellmuth Karasek. Proveniente da una famiglia di albergatori ebrei, studente «allegro» del Realgymnasium Juranek nell'ottavo distretto di Vienna, giornalista a soli diciannove anni, Billy Wilder si tuffò nella vita: e la «vita» voleva dire allora Berlino, ben diversa dalla Vienna della finis Austriae, ormai assonnata e provinciale. E il cinema? «Avevo visto allora - ricorda - tre film che mi avevano colpito. Improvvisamente avevo capito: è questo! questo e non altro!». I tre film erano La corazzata Pot'èmkin di Ejzenstejn, Sotto i tettieli Parigi di René Clair e Ragazze in uniforme di L-ontine Sagan. L'intera opera cinematografica di Wilder può essere vista alla luce di quelle così disparate influenze: un rigore assoluto nella scelta delle immagini, nel montaggio, nella costruzione del racconto; uno spirito caustico e romantico al tempo stesso, una sottile melanconia unita al piacere dichiarato della farsa; un impegno sociale, ancor più che politico, indubbio, che non si limita a cogliere delle contraddizioni storiche solo gli aspetti esteriori. Quasi che Ejzenstejn, Clair e la Sagan potessero, in qualche misura, trasmettere al giovane allievo tanto il loro grande amore per il cinema quanto il loro autentico antifascismo: l'uno e l'altro frutto di un rapporto dialettico con la realtà, vista e rappresentata in chiave simbolica. Un simbolismo che nasce dall'osservazione puntuale dei fatti quotidiani, come si vide nel secondo lavoro di Wilder per il cinema, quel Memcben ani Somitag (Gente di domenica) diretto da Robert Siodmak e Edgar Ulmer nel 1930, che anticipò di quindici anni il neorealismo italiano. Non parrà allora strano che il ilder film preferito da Wilder sia ancor oggi Ladri di biciclette di De Sica. Ma il realismo delle immagini, delle situazioni sociali, degli ambienti, non poteva far dimenticare quell'ironia, cioè quel distacco intellettuale che venne poi scambiato per cinismo, che in seguito caratterizzò i suoi grandi film dopo l'abbandono della Germania hitleriana verso la Francia e poi gli Stati Uniti: dalla Fiamma del peccato a Giorni perduti, da Viale del tramonto allVlj.ro nella manica, da Quando là moglie è in vacanza a Testimone d'accusa, dall'Appartamento a Prima pagina a Fedora. Ma nel frattempo molte cose erano successe, in Germania e altrove. Quando Wilder s'imbarcò il 22 gennaio 1934 sulla «Aquitania», diretto a New York, un mondo era tramontato. L'arrivo a Hollywood avrebbe significato una nuova vita, ma anche un ricominciare da zero, sconosciuto o quasi, con qualche amico fra gli emigranti tedeschi. Come ricorda Wilder: «Il mio grande handicap era il mio inglese. Dovevo scrivere sceneggiature in una lingua di cui non ero padrone». Così, come in quegli stessi anni avrebbe fatto Fritz Lang, si immerse nella lettura dei giornali, ascoltò la radio, imparò l'inglese senza studiarlo. E divenne, nel volgere di pochi anni, uno dei migliori sceneggiatori hollywoodiani. Soprattutto incontrò Ernst Lubitsch, per il quale scrisse le sceneggiature dell'Ottava moglie di Barbablù e di Ninotchka. Collaborare con Lubitsch per Ninotchka significò anche lavorare con Greta Garbo. «Il suo volto - ricorda - si trasformava sulla pellicola: dal volto chiuso, forse persino annoiato di una attrice, nel volto di una star, sul quale lo spettatore credeva di cogliere tutti i segreti di un'anima femminile». Un'attrice, la Garbo, che «nasceva» sullo schermo come diva attraverso lo strato d'emulsione del film, quel miracolo che riusciva a trasformare una persona in un personaggio. «Come regista - annota Wilder ■ sperimentai più tardi lo stesse miracolo con Marilyn Monroe». L'aveva vista per la prima volta negli Anni Cinquanta e non gli aveva fatto una particolare impressione: «Certo era bella, ma non così vistosa da far voltare la gente. Sullo schermo divenne una bellezza vistosa, era unica, Non ho mai incontrato nessuno - conclude Wilder - che fosse così difficile come lei, ma nean che che fosse così meravigliosa in celluloide, compresa la Garbo». E con Marilyn diresse due film, due capolavori: Quando la moglie è in vacanza nel 1955 e A qualcuno piace caldo nel 1959- Un'impresa, quest'ultima, da scriverci sopra una commedia grottesca. Marilyn non ricordava le bat tute, sbagliava le scene, bisogna va ripeterle decine di volte - una addirittura 65 volte! -, fra l'impazienza dei tecnici, del regista, di Tony Curtis e di Jack Lemmon. Come nel film di Truffaut Effetto notte, le venivano scritte le battute sulle porte, sulle pareti, in modo che potesse leggerle durante le riprese. Tutto inutile. «Dopo la sessantesima volta - ricorda Wilder - la presi da parte per calmarla. Le dissi: "Marilyn, alright. Just relax! Don't . E lei disse: "Worry? what? ìt s worry! About che cosa?». Agitarmi? Per Gianni Rondolino Il regista Billy Wilder